Entro il 2030 le energie rinnovabili dovranno coprire almeno il 32% dei consumi finali di energia (invece del 27% proposto inizialmente) dal 20% della precedente disposizione. È quanto stabilito dalla direttiva messa a punto da Commissione, Parlamento e Consiglio europeo. Perché diventi effettiva e quindi cogente la normativa dovrà essere approvata dal Consiglio e Parlamento nei prossimi mesi, per poi essere recepita dai Parlamenti dei singoli Paesi.
Con la decisione l’Ue si impegna, con maggiore forza, nella transizione energetica e nel contrasto al cambiamento climatico. Ciò, si legge in una nota della Commissione, "contribuirà notevolmente alla priorità politica della Commissione espressa dal presidente Juncker nel 2014 affinché l'Unione europea diventi il numero uno mondiale in rinnovabili".
Un’Europa leader nella lotta ai cambiamenti climatici
L'accordo "consentirà all'Europa di mantenere il suo ruolo di guida nella lotta contro il cambiamento climatico, nella transizione energetica pulita e nel raggiungimento degli obiettivi fissati dall'Accordo di Parigi", prosegue la nota.
Proprio perché le istituzioni europee hanno preso atto del quadro energetico in rapido cambiamento hanno anche stabilito che i target potranno essere rivisti al rialzo con una clausola di revisione che potrà essere adottata entro il 2023. Ponendo, in pratica, obiettivi più ambiziosi.
Ma la direttiva tocca anche altre questioni: dall’autoconsumo da parte dei cittadini, al processo graduale di eliminazione dell’olio di palma nei biocarburanti entro il 2030.
Il niet del fronte di Visegrad. Anche sull’energia
In particolare, il target di rinnovabili nei trasporti viene fissato al 14% al 2030, con la quota di biocarburanti avanzati (ossia prodotti da residui) e di biogas che dovrà essere almeno dell’1% nel 2025 e del 3,5% nel 2030. I biofuel di prima generazione, quelli prodotti da colture alimentari, in nessun caso potranno superare il 7% dei consumi finali dei trasporti su strada e su rotaia. Novità anche per i sistemi di incentivi nazionali, con regole armonizzate a livello Ue e il divieto di modifiche retroattive ai regimi di sostegno.
A livello politico, c’è, tuttavia, da registrare la posizione negativa sulla direttiva di alcuni paesi, in particolare quelli dell’Est aderenti al cosiddetto blocco di Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca) che vorrebbero mantenere il consumo di energia rinnovabile al 27%, essendo Paesi legati a una produzione energetica tradizionale (molte centrali a carbone, pochi impianti solari o eolici). In Romania, ad esempio, i cittadini che vogliono vendere in rete l’energia che producono devono costituire un’impresa e pagare tasse su tale attività. Un vero e proprio disincentivo.
Lo scontro Di Maio-Calenda
In Italia, invece, Governo e opposizione litigano. Se il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio rilancia (“una quota del 32% è troppo bassa”), il suo predecessore, Carlo Calenda lo richiama alla realtà. "L'Italia – ha detto il ministro - deve puntare sulle energie rinnovabili come motore per il futuro della sua economia. Per questo in Consiglio (Ue Energia) abbiamo ribadito la nostra linea, più ambiziosa rispetto al passato”. Ossia il 35%.
A stretto giro arriva la replica di Calenda, autore della Strategia energetica nazionale, secondo cui "il 35% di rinnovabili annunciato da Luigi Di Maio rappresenta un obiettivo legittimo, ma costa da 25 a 35 miliardi ulteriori rispetto alla Sen 2017". "Tutto si può fare - spiega anzi io porterei al 100% la quota di fonti rinnovabili, ma bisogna farlo coscienti di costi e fattibilità degli impegni che si prendono e delle parole che si usano. Già oggi il costo delle rinnovabili è di circa 13 miliardi. In funzione delle stime degli investimenti unitari e della tecnologia, ci potrebbero volere circa ulteriori 25-35 miliardi senza considerare la necessità di rafforzamento della rete. E bisogna capire come finanziarli, se caricandone una parte sulle bollette degli italiani o con altre entrate".
D’accordo con Di Maio, Greenpeace secondo cui “l'obiettivo di crescita delle rinnovabili fissato al 32% è troppo basso”.