I Paesi Opec (Algeria, Angola, Equador, Guinea Equatoriale, Gabon, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Venezuela) e quelli che non fanno parte del cartello capitanati dalla Russia (Azerbaijan, Bahrain, Brunei, Kazakhstan, Malesia, Messico, Oman, Sudan, Sud Sudan) stanno pensando di trasformare la loro alleanza in un'intesa della durata di almeno 10-20 anni per dare maggiore stabilità al mercato petrolifero.
Lo ha detto all’agenzia Reuters il Principe della Corona, Mohammed bin Salman, erede al trono del Regno dell'Arabia Saudita, il quale ha spiegato che Riad e Mosca stanno pensando a un'alleanza a più lungo termine, rispetto a quella attuale, per tenere sotto controllo i prezzi. "Stiamo lavorando per passare da un accordo annuale a un accordo di 10-20 anni", ha detto l'erede al trono del regno, "abbiamo già un'intesa di massima ma non ancora sui dettagli". Come l’ha definita l’agenzia di stampa britannica si tratterebbe di un’intesa storica. Vediamo perché.
Innanzitutto, i 24 paesi che attualmente fanno parte dell’Opec Plus (Opec più gli altri stati produttori di petrolio non aderenti al cartello) controllano circa metà dell’offerta mondiale di greggio, come scrive il Sole 24 Ore. Dal primo gennaio 2017 l’organizzazione ha deciso di intervenire per tagliare la produzione di petrolio di 1,8 milioni di barili al giorno per far risalire il prezzo (era sceso a 29 dollari al barile a gennaio 2016, oggi il Brent oscilla intorno ai 70 dollari). La caduta dei prezzi era dovuto al combinato disposto della crisi economica e dell’eccesso di offerta sul mercato causato dall’incremento della produzione statunitense.
Se l’Opec Plus diventasse un’organizzazione permanente non dovrebbe riscrivere, ogni volta, le intese sui tagli. Sarebbe più agile e veloce nel prendere decisioni. Una svolta simile, inoltre, andrebbe incontro ai ripetuti appelli delle compagnie petrolifere che negli anni scorsi, segnati da prezzi bassi, speravano proprio quello che ora sembra avverarsi: la trasformazione dell'Opec in una sorta di Banca Centrale del petrolio.
Il 2 febbraio del 2015 l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi spiegava il concetto sostenendo che al mercato serve “una banca centrale” in grado di promuovere stabilità. "Abbiamo bisogno che ci sia, ogni volta che si crea uno squilibrio tra domanda e offerta, una sorta di Banca Centrale, come avviene per i mercati finanziari, delle entità che parlando tra di loro creino stabilità. Questo è un discorso abbastanza provocatorio forse ma innovativo", diceva Descalzi tre anni fa. Ora quell’idea, che all’epoca sembrava provocatoria, pare stia prendendo piede.
Non è nemmeno casuale chi ha dato la notizia e il luogo. Si tratta, come detto, del principe saudita Mbs, protagonista insieme alla Russia della svolta, oltre che attivissimo protagonista della modernizzazione del suo Paese. Il luogo invece è New York, cuore finanziario degli Stati Uniti che non partecipano all'alleanza e che rappresentano il principale 'concorrente' dei produttori dell'Opec Plus.
Bisogna ricordare infatti che l’attuale presidente Donald Trump ma anche i suoi predecessori abbiano sempre puntato all'indipendenza energetica Usa. Insomma il duello tra Washington e resto del mondo si arricchisce di un nuovo capitolo. Secondo tutti gli analisti del settore l’Opec, negli anni scorsi, ha lasciato scendere i prezzi del greggio proprio per mettere al tappeto le numerose compagnie americane di shale oil alcune delle quali con le quotazioni basse hanno dovuto chiudere i battenti.
C’è da dire tuttavia che l’industria petrolifera americano ha retto bene tanto che la produzione non ne ha risentito più di tanto e gli Usa diventeranno presto il maggior produttore di petrolio al mondo scalzando dai gradini più alti proprio la Russia e l’Arabia saudita. Insomma la partita è in pieno svolgimento e si aspettano le prossime mosse.