Viaggiare per le autostrade degli Stati Uniti è per noi italiani un’esperienza unica: corsie ampie, densità di traffico bassa (tranne che attorno alle metropoli), limiti di velocità severi e molto rispettati, rettilinei infiniti, poche gallerie. La cavalcata coast-to-coast su un immenso fuoristrada a benzina, 6000 cm3 di cilindrata, è un sogno ricorrente nell’immaginario vacanziero di tanti europei. Il problema è che poi troviamo questi tristi emuli dei cowboy motorizzati d’oltreoceano anche nelle stradine medievali delle città italiane. Inseguono impavidi il sogno americano nel posto sbagliato e, solitamente, ne vanno fieri. Sono tra i più insigni interpreti di un sistema dei trasporti giunto alla fase terminale, quella che ondeggia tra la paralisi e il collasso.
Il consumo energetico degli Stati Uniti nei soli trasporti ammonta al 5% del consumo di tutta l’energia primaria mondiale.
Questa quota sproporzionata si spiega soltanto in parte con il fatto che le distanze medie di percorrenza stradale negli Usa sono molto più elevate rispetto all’Europa.
Per 25 anni (1985–2010), il livello medio dei consumi degli autoveicoli negli Usa è rimasto invariato a 11,7 km/litro: ogni tentativo di far passare leggi che imponessero una maggiore efficienza ha sempre trovato una strenua opposizione. A partire dal 2011 la situazione è finalmente migliorata e dal 2016 lo standard medio di efficienza è stato elevato a 16,6 km/litro.
Il passaggio a un parco auto con consumi medi paragonabili a quelli delle vetture circolanti in Europa o in Giappone farà calare sensibilmente il consumo energetico, senza intollerabili sacrifici per gli automobilisti Usa.
Il cittadino europeo medio usa quasi un terzo dei propri consumi energetici complessivi per spostarsi con qualche mezzo motorizzato. Naturalmente molti europei amano camminare e andare in bicicletta, anche perché spostarsi a piedi o in bici in città è spesso più veloce e conveniente che farlo in auto. Di certo l’opzione pedonale è molto efficiente dal punto di vista energetico: spostare un kilogrammo di massa corporea con le gambe costa circa 3,5 kJ di energia al kilometro, mentre spostarlo con un’auto di media potenza richiede circa 30 kJ/km.
Questo dato non deve sorprendere: nell’auto ci accompagna un corredo di quintali di metalli, plastica, vetro, combustibile. Ne fanno parte un motore da 150 cavalli, 4 robuste barre antintrusione, 2–3 metri quadri di cristalli ammanti, un macigno di batteria, una radio e sei altoparlanti da rave party. Persino una ruota di scorta che ci portiamo in giro da una vita sperando di non averne mai bisogno, anche perché spesso non sappiamo neppure dove sia nascosta.
Il consumo energetico per passeggero di un’automobile di media potenza è di circa 2 MJ/km; un fuoristrada consuma almeno il 60% in più.
Può sorprendere che gli aerei più moderni ed efficienti, come il l’Airbus 350 (A350), consumino per passeggero e per kilometro circa metà di un’automobile. In un solo giorno però un aereo può coprire distanze pari a quelle che un’auto percorre in un anno intero: l’impatto ambientale e climatico del trasporto aereo, sempre più sotto accusa, è dunque legato alle lunghe percorrenze e al fatto che le sostanze inquinanti sono rilasciate in alta quota, in zone particolarmente vulnerabili della troposfera.
Il dato però più interessante dei consumi energetici nei trasporti è la straordinaria efficienza dei treni: spostarsi su rotaia significa ridurre del 70% il consumo energetico rispetto all’auto. I sistemi ferroviari raggiungono punte di efficienza – non soltanto energetica – del tutto insuperabili: la rete ferroviaria giapponese ad alta velocità (Shinkansen) trasporta circa 350 milioni di passeggeri l’anno con punte di velocità superiori ai 400 km/h e con un ritardo medio per convoglio di 5 secondi (avete letto bene: 5 secondi).
L’efficienza di questo sistema può anche essere valutata sulla base della sicurezza: la rete Shinkansen opera da oltre 50 anni e ha trasportato oltre 11 miliardi di passeggeri, senza un solo incidente mortale.
È istruttivo leggere queste cifre in parallelo con altre: per esempio nell’Unione Europea nel 2015 gli incidenti stradali hanno causato 26.000 morti e 1,3 milioni di feriti, parte dei quali invalidi permanenti. Le vittime di questa guerra sono regolarmente sacrificate sull’altare della crescita economica fine a se stessa, a cui non si sottrae nessuna categoria, corporazione, sindacato o partito politico. Con migliaia di morti sulle strade fanno floridi affari case automobilistiche, aziende energetiche, carrozzieri, case di cura, pompe funebri, e il prodotto interno lordo aumenta. Questo basta per perpetuare un sistema inefficiente e malato.
Se qualcuno suggerisce che, dati alla mano, il sistema dei trasporti tradizionale non è più difendibile, viene immediatamente bollato come un troglodita che si oppone al progresso della civiltà umana. Non passeranno secoli, e neppure decenni, prima che il vento cambi.
Alla conferenza di Parigi del dicembre 2015, tutte le nazioni del mondo hanno riconosciuto che il cambiamento climatico, causato principalmente dalle emissioni dei combustibili fossili, è il problema più preoccupante che dobbiamo affrontare. Grazie all’accordo raggiunto a Parigi, il trasporto su terra – sia di persone sia di merci – sarà sempre meno basato su motori a combustione interna e sempre più su motori elettrici.
A treni, metropolitane e autobus elettrici si affiancheranno auto elettriche, sempre più alimentate da impianti a energie rinnovabili. La transizione potrà essere più rapida di quanto immaginiamo; basti pensare che Olanda e Norvegia (i maggiori produttori europei di idrocarburi!) prevedono di bandire definitivamente la vendita di auto a benzina e gasolio già nel 2025.
Del resto, se non cambieremo il sistema dei trasporti, sarà il sistema dei trasporti a cambiare noi.