Per varie ragioni, non è possibile dare una risposta precisa. È però indiscutibile che il nucleare non è economicamente conveniente in un regime di libero mercato, dove si richiede che ogni nuova centrale sia progettata, costruita e gestita dal settore privato, che dovrebbe poi anche sostenere i costi dello smantellamento e della gestione delle scorie.
Non vi è centrale nucleare in esercizio al mondo che non abbia beneficiato di aiuti di Stato a fondo perduto, sotto forma di sussidi alla produzione o sovvenzioni dirette alle imprese coinvolte, e che ancora oggi non ottenga sostegno per lo smaltimento delle scorie e lo smantellamento degli impianti a fine vita.
Come abbiamo già visto, una delle principali incognite riguardo ai costi è proprio il collocamento delle scorie ad alta radioattività. Le centrali a fine vita sono anch’esse, di fatto, gigantesche scorie nucleari, anche se certe ingannevoli pubblicità vogliono far credere che il sito su cui sorge una centrale possa essere trasformato in un giardino. Disfarsi dei residui che lascia il nucleare è molto, molto costoso, tanto che nel valutare la situazione economica di uno Stato si dovrebbe considerare a quanto ammonta anche il suo «debito nucleare».
Il tentativo di rilanciare il nucleare sta incontrando enormi difficoltà. Lo testimonia il caso dei reattori EPR in costruzione in Finlandia (dal 2005) e in Francia (dal 2007) da parte dell’azienda Areva, già punta di diamante della tecnologia nucleare, poi fallita e salvata dallo Stato francese. Per queste centrali si prevedeva la messa in rete nel 2010 e 2011, rispettivamente, a un costo dell’ordine di 3 miliardi di euro; salvo altri ritardi, entreranno invece in funzione non prima del 2018 e con costi almeno triplicati.
Negli Stati Uniti, dove gli oltre 100 reattori nucleari operativi stanno inesorabilmente invecchiando, si susseguono rinvii e rinunce riguardo ai progetti di costruzione di nuovi impianti. Intanto nel marzo 2017 il colosso nucleare Westinghouse ha aperto la procedura per la messa in stato di fallimento.
Oggi si costruiscono nuove centrali nucleari principalmente nei Paesi a economia pianificata e a più basso livello di democrazia, come Cina e Russia, dove lo Stato si fa direttamente carico dei costi e dei rischi dell’impresa e dove spesso c’è una forte commistione fra nucleare civile e militare. Nelle nazioni occidentali finora si è preferito richiedere alle autorità di sicurezza licenze per il prolungamento del tempo di vita delle centrali già in funzione, con lavori di aggiornamento che hanno un costo pari a circa un quarto di quello di una nuova centrale.
Dopo Fukushima questi aggiornamenti sono visti in modo molto critico non soltanto dalla pubblica opinione, ma anche dagli esperti.
Nel conto finale dell’energia nucleare bisogna anche includere i costi economici, sociali e politici − tutti imprevedibili − imposti dalla necessità di smantellare le centrali e sorvegliare scorie radioattive che restano pericolose per un tempo praticamente infinito.