Sul clima si stanno giocando oltre che i destini del mondo anche quelli del prossimo governo tedesco. Il tutto avviene in Germania tra Bonn, dove si è tenuta in questi giorni la conferenza sul clima dell’Onu, e Berlino città nella quale la Cancelliera, Angela Merkel, sta provando a formare un Governo.
Il problema è che nonostante le affermazioni piene di enfasi della Merkel alla Cop 23 ("Quella del clima è una sfida centrale per il mondo. Una questione di destino dell’umanità") sembra proprio che la locomotiva d’Europa vada ancora a carbone. Questo non piace per niente ai Verdi e a tutte le associazioni ambientaliste che non accettano compromessi al ribasso sugli obiettivi di decarbonizzazione del Paese. Cominciamo con il dire che dalle elezioni politiche del 24 settembre scorso in Germania è uscito un quadro poco chiaro e ancora in via di evoluzione.
La Cancelliera è impegnata in una difficile trattativa per portare al governo, per la prima volta, proprio i Verdi, “pionieri globali – scrive Repubblica - delle lotte ambientaliste ma costretti a cercare un compromesso con le posizioni diametralmente opposte dei Liberali, l’altro partito che Merkel vorrebbe imbarcare nel prossimo esecutivo”. Ma dopo quasi due mesi dal voto ancora non c’è un Governo e non si vede la luce. "Non sarà facile, sarà molto dura, ma vale la pena di continuare i colloqui", ha detto la Cancelliera tedesca, dopo l’ennesima nottata passata in estenuanti trattative. L'ostinazione della Merkel è legata alla convinzione che la coalizione 'Giamaica' resta l'unica possibilità, dopo che i socialdemocratici hanno ribadito il loro secco 'no' alla riedizione di una grande coalizione.
Ogni volta che una soluzione appare vicina tra le varie anime della coalizione Giamaica, arriva subito la stoccata di qualche associazione ambientalista che attacca i Verdi per i compromessi ambientali. Greenpeace, ad esempio, li ha criticati aspramente per il fatto che avessero ammorbidito la richiesta di un’uscita dal carbone entro il 2030 e annacquato l’obiettivo di una riduzione dei livelli di emissione della CO2. A complicare ulteriormente le cose il fatto che è previsto che qualsiasi accordo preso dai parlamentari verdi debba essere giudicato dalla base del partito, molto attento al giudizio delle associazioni green. Dall’altra parte del tavolo, sono invece seduti i Liberali molto meno sensibili a tali tematiche e più inclini a una decarbonizzazione soft.
Nel piano energetico tedesco, l’equivalente della nostra Sen, approvato lo scorso anno è previsto che gli obiettivi di riduzione delle emissioni debbano adattarsi ai vari settori dell’economia. In particolare quello energetico dovrà dimezzare la produzione di gas serra entro il 2030. Il ministro dell’Ambiente Barbara Hendricks ha spiegato che questo comporterà che metà delle centrali a carbone dovranno essere spente entro quell’anno. Ma l’altra metà continuerà a produrre energia e quindi a bruciare carbone.
Insomma è vero che la Germania è leader nella lotta ai cambiamenti climatici grazie ai forti investimenti nelle rinnovabili da cui produce un terzo della sua elettricità, più del doppio della quota degli Stati Uniti. Ma c’è anche l’altro lato della medaglia. Il paese produce ancora il 40% dell’energia dal carbone, la quota maggiore rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei. Non bastasse, Berlino utilizza la lignite che è il tipo di carbone più sporco. L’utilizzo massiccio del carbone è frutto della scelta, dopo l’incidente di Fukushima, in Giappone, dell’11 marzo del 2011 di abbandonare il nucleare. Un bel dilemma che dovrà essere sciolto da quella che, secondo Forbes, è la donna più potente del mondo da ormai 7 anni.