Che la geopolitica influisca, in modo determinante, sulle quotazioni del prezzo del petrolio, è cosa nota. Ma quella che è stata definita la “notte dei lunghi coltelli” di sabato scorso in Arabia Saudita sta avendo un impatto sicuramente superiore ai tagli decisi dall’Opec. Il Brent ha superato i 64 dollari, ai livelli massimi da due anni e mezzo, mentre il Wti si è avvicinato a quota 60 dollari. Insomma quello che non erano riusciti a fare i paesi produttori di greggio tagliando 1,8 milioni di barili al giorno, lo ha realizzato, in una notte, il principe saudita Mohammed bin Salman, detto Mbs. Ma perché le quotazioni sono schizzate alle stelle? E cosa è successo in Arabia Saudita sabato notte?
Cominciamo dalla notte dei lunghi coltelli. In Arabia Saudita, ormai è chiaro, è in atto una lotta di potere. Come spiega bene un articolo della Stampa “dalla morte del fondatore del Regno Abdulaziz ibn Saud, nel 1953, la successione è sempre avvenuta di fratello in fratello. Questo ha consentito una gestione ‘più collegiale’ dello Stato, con spazio per tutti i rami della famiglia. Re Salman, a luglio, ha rotto con questa tradizione, e ha nominato come primo discendente il figlio Mohammed”. Da qui la guerra tra il principe che vuole rendere il paese più moderno (suo il piano strategico di sviluppo Vision 2030) ed emancipato dalla ‘schiavitù’ dell’oro nero e l’ancien regime. L’accusa di corruzione, il pretesto per fare fuori i pretendenti al trono. Tutti agli arrestati si trovano ai domiciliari nelle loro dimore dorate (basti pensare che secondo Bloomberg il loro patrimonio ammonta a 33 miliardi di dollari), ad eccezione del principe saudita Mansour bin Muqrin morto, lo scorso fine settimana, in un misterioso incidente di elicottero su cui viaggiava al confine con lo Yemen insieme ad otto alti funzionari. Finora la ‘mani pulite’ di Riad ha portato all’arresto di 11 principi della famiglia reale, 4 ministri in carica e decine di ex. La battaglia per il potere quindi è tuttora in corso e considerando che l’Arabia Saudita è il maggior produttore di petrolio al mondo è facilmente immaginabile come tali tensioni abbiano avuto l’effetto di mandare il prezzo alle stelle visto che, come sostengono molti osservatori, le purghe non sono ancora terminate.
C’è poi il fronte internazionale. Molti analisti giurano che la tempistica della resa dei conti interni non sia casuale. L’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca ha cambiato gli equilibri in Medio Oriente. Se Obama aveva aperto all’Iran, storico nemico di Riad, con l’accordo sul nucleare raggiunto nel 2015 l’attuale presidente va nella direzione opposta e vuole imporre nuove sanzioni a Teheran. Un bel regalo per bin Salman che ha subito accusato l’Iran di “aggressione” attraverso i ribelli Houthi, in Yemen. Secondo Mbs il coinvolgimento dell'Iran nella fornitura di missili ai ribelli in Yemen è "un'aggressione militare diretta da parte del regime iraniano", e come tale "potrebbe essere considerato alla stregua di un atto di guerra contro il regno" saudita. Anche sul fronte internazionale la partita è tutta da giocare e diventa sempre più probabile un nuovo isolamento economico dell’Iran. Considerando che Teheran è il quarto produttore di petrolio al mondo appare evidente come, in prospettiva, sul mercato mondiale ci sarà meno greggio con gli effetti che vediamo sui prezzi.