L’ineluttabile transizione dall’economia lineare all’economia circolare e quindi anche dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, è il punto centrale della strategia per costruire un futuro sostenibile, l’unico possibile. Non è un processo facile: richiederà tempo e comporterà forti cambiamenti nella società, perché ne coinvolge profondamente i principali attori: la scienza, l’etica, l’economia e la politica.
La transizione energetica si deve fare, si può fare e si sa come farla: lo richiede la scienza, perché i combustibili fossili danneggiano l’ambiente e il clima; lo impone l’etica perché, come scrive anche Papa Francesco, "il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta".
L’economia sa che la transizione è necessaria, ma non ne è entusiasta perché scombina i piani dei grandi investitori e delle grandi aziende globali. La politica dovrebbe dettare la linea: servono leader politici capaci di estendere lo sguardo su tutto il pianeta e alle prossime generazioni. Negli ultimi anni il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha fatto molto per favorire la transizione energetica; il suo successore Donald Trump minaccia invece di muoversi nella direzione opposta. In ogni caso, come anche Obama ha scritto in un articolo su Science nel gennaio 2017, appena prima di lasciare la Casa Bianca, la transizione energetica in corso è irreversibile, indipendentemente dalle scelte politiche locali o a breve termine.
La Cina è ben lanciata nella transizione energetica ed economica e qualche buona notizia viene anche dall’Africa, dal Medio Oriente e dall’India, mentre l’Unione Europea ha moderato le proprie ambizioni di transizione energetica e il Giappone è in un momento di stallo. In questo complesso contesto l’opinione pubblica può giocare un ruolo chiave di vigilanza e di stimolo.
Il sistema energetico ha un’inerzia enorme, per motivi tecnici ed economici: l’infrastruttura energetica tradizionale (pozzi, oleodotti, gasdotti, raffinerie, distributori) è ben collaudata e di usa ed è stata fonte di grandi guadagni. Ci vorrà altro tempo prima che i governi prendano piena coscienza dei costi sanitari ed economici diretti e indiretti causati dall’uso dei combustibili fossili e si convincano della necessità di limitare il consumo delle risorse e l’accumulo di rifiuti. La messa in campo di politiche e caci di incentivi e disincentivi tarda a giungere. Nel frattempo bisogna abbattere gli sprechi, aumentare l’efficienza nell’uso dell’energia e lanciare vasti programmi di ricerca e sviluppo sulle energie rinnovabili.
C’è chi teme che l’industria dei combustibili fossili collassi prima che le energie rinnovabili si di ondano a sufficienza per garantire i servizi essenziali. Per evitare questo pericolo occorre accompagnare il progressivo disinvestimento di capitali dai combustibili fossili, che è già in corso, a investimenti in rinnovabili molto più ingenti di quelli attuali. I grandi capitali, però, sono poco propensi al massiccio impegno di risorse che sarebbe necessario, mentre molti economisti e politici non sembrano cogliere il significato e l’urgenza della transizione.
L’abbandono graduale dell’energia densa dei combustibili fossili, con il passaggio progressivo all’energia più diluita delle energie rinnovabili, comporterà mutamenti sostanziali nello stile di vita. Le fonti di energia non saranno più concentrate in zone limitate del pianeta e non saranno più possedute da un piccolo numero di nazioni.
Data la natura discontinua delle fonti rinnovabili, la distribuzione dell’energia non sarà più governata dalla domanda, come è stato finora, ma dal bilanciamento tra offerta e domanda ottenuto mediante reti intelligenti, o smart grid, che faranno largo uso di sistemi informatici.