Consumare di meno, riciclare di più. Tradotto, più economia circolare. Passa anche dal cambiamento del modello di sviluppo dell’economia mondiale per garantire un futuro alla Terra e, di conseguenza, al genere umano. Secondo uno studio realizzato da Material Economics e commissionato dal Fondo finlandese per l'innovazione Sitra insieme alla European Climate Foundation, un'economia più circolare potrebbe ridurre le emissioni industriali dell'Ue di oltre la metà entro il 2050.
I modelli di business circolari, il riciclo dei materiali e una maggiore efficienza dei prodotti sono la chiave per realizzare un'economia industriale maggiormente competitiva e a emissioni zero in Europa. Ciò, è, indispensabile per ridurre le emissioni globali di gas serra e raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima, scrive il rapporto. Lo studio – dal titolo ‘The Circular Economy – a Powerful Force for Climate Mitigation’ - esplora un'ampia gamma di opportunità per i quattro materiali che più contribuiscono alle emissioni dei gas ad effetto serra - acciaio, plastica, alluminio e cemento - e per l’uso di questi materiali per la costruzione di automobili ed edifici. Secondo lo studio è possibile riutilizzare il 75% dell’acciaio, il 50% dell’alluminio e il 56% della plastica. Riciclare i materiali permette di tagliare le emissioni di CO2 e richiede meno energia rispetto a una nuova produzione.
Un'economia più circolare potrebbe ridurre le emissioni industriali dell'Unione europea di oltre la metà entro il 2050 (il 56% o 300 milioni di tonnellate all'anno entro il 2050) mentre a livello globale, le riduzioni potrebbero ammontare a 3,6 miliardi di tonnellate all'anno per lo stesso periodo. L'industria, infatti, causa il 24% delle emissioni globali di CO2, che nel 2017 ammontavano a 37 miliardi di tonnellate. Il bilancio globale del carbonio per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C è stato stimato pari a 800 miliardi di tonnellate entro la fine di questo secolo. La Commissione europea sta attualmente preparando una strategia per il clima per la metà del secolo, aggiornando la sua tabella di marcia del 2011 per renderla coerente con i nuovi obiettivi dell'accordo di Parigi.
Anche le grandi aziende stanno iniziando a muoversi in questa direzione. In una lettera a ‘Repubblica’ e in altri diversi interventi, l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha evidenziato il fatto che “clima ed energia sono i fattori su cui si gioca il futuro. In passato a decidere la direzione di marcia erano le dinamiche dei mercati, stavolta a guidare i processi deve essere la protezione dell’ambiente. La sfida è enorme ma altrettanto lo è l’opportunità che ci si presenta: salvare il pianeta creando al contempo un’economia nuova, più inclusiva”. La questione è nota da tempo: “Chi vive nelle società più ricche consuma il triplo della media mondiale. Sprecando così risorse – dall’acqua al suolo – e lasciandosi alle spalle una crescente scia di rifiuti”, evidenzia Descalzi. “I nove miliardi di persone che abiteranno la terra nel 2040 non potranno consumare con lo stesso modello del miliardo di privilegiati dei paesi sviluppati. Serve in sistema che assicuri benessere ma preservi il pianeta”, osserva.
Secondo l’ad di Eni non siamo sulla strada giusta perché per centrare gli obiettivi di Parigi e contenere l’aumento della temperatura sotto i 2° C bisognerebbe scendere, entro il 2030, dagli attuali 32 miliardi a 24 miliardi di tonnellate di CO2 emesse ogni anno nell’atmosfera. Ma proseguendo così “rischiamo di salire a 34 miliardi”, spiega il manager. Il sistema energetico “copre solo il 60% delle emissioni”. Come dice il rapporto, quindi, il settore energetico da solo non basta. “Serve entrare in un nuovo modello di conservazione dell’energia che abbia al centro l’economia circolare e dia vita a una riduzione degli sprechi e a una minore necessità di materie prime”. Con il recupero dei rifiuti e degli scarti urbani e industriali Eni sta trasformando i propri business. “La raffinazione e la chimica puntano su produzione bio e circolarità. Questo servirà a stimolare una spesa crescente anche in Italia e a creare un nuovo indotto”, conclude Descalzi.