Tra le tante ‘rogne’ che il nuovo Governo si troverà sul groppone ce ne è una veramente grande: il deposito nucleare. Si tratta di vedere dove verrà realizzato il sito nel quale raccogliere le scorie nucleari. Quei residui nocivi e inquinanti da stoccare, derivanti dalle centrali nucleari di un tempo oltre agli scarti dei prodotti sanitari e industriali. Una di quelle questioni che nel nostro paese rischiano di far scoppiare una guerra civile. In realtà la Cnapi (Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee) è stata già consegnata nel 2015 e per ora viene rimpallata tra il ministero dello Sviluppo economico e quello dell’Ambiente. Qualche giorno fa il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda aveva detto che la mappa sarebbe stata pubblicata a breve. Ancora non si è vista perché, sempre secondo Calenda, è ancora ferma al ministero dell’Ambiente. Una volta pubblicata la cartina con i siti papabili si aprirà la consultazione pubblica che dovrebbe durare 4 mesi. Tuttavia già alcune regioni (Liguria, Basilicata, Sardegna) hanno messo le mani avanti dichiarando la non disponibilità a ospitare il deposito.
La Sogin si aspetta "un dibattito sereno"
L’amministratore delegato della Sogin, la società che il compito dello smantellamento dei vecchi impianti nucleari, Luca Desiata lo ha detto chiaro e tondo presentando i risultati del 2017: il nuovo Governo “dovrà sostenere in maniera solida” il nulla osta alla pubblicazione della Cnapi. “Non entro nel merito delle decisioni governative ma non si tratta di un nulla osta qualsiasi, quindi va sostenuto”. Perché, ha spiegato l’amministratore delegato, “il deposito è una infrastruttura essenziale per la sicurezza del territorio italiano a bassissimo rischio ambientale e con rilevanti ricadute per il territorio”. Desiata, consapevole della delicatezza della questione, ha osservato come “dal nuovo governo ci aspettiamo un dibattito sereno dal punto di vista tecnico, dal quale possa emergere il fatto che i rischi sono molto limitati mentre vi sono evidenti vantaggi per il territorio. Mi auguro che il dibattito sia aperto e sereno, basato sulle evidenze tecniche".
D’altra parte "la pubblicazione della mappa dei siti adatti per accogliere il deposito non è atto discrezionale del Governo ma il termine di un lungo processo tecnico", aveva detto Calenda, ricordando che sul punto "c'è stato un enorme ritardo che mette a rischio accordi con Paesi che tengono materiale”. Sì perché l’Italia, essendo sprovvista di un deposito ha pensato bene di portare le scorte nucleari in giro per l’Europa (in Francia e Gran Bretagna ce ne sono circa 800 metri cubi). Il nostro Paese infatti ha un passato nucleare. Cancellato con il referendum del 1987 (successivo al disastro di Chernobyl), con un ritorno di fiamma nel 2009 con il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola e ricancellato dopo il disastro di Fukushima (11 marzo 2011) a seguito dell’ennesimo referendum. A questo proposito Desiata ha spiegato che lo smantellamento delle vecchie centrali “è a poco meno di un terzo” del suo iter mentre a livello economico siamo a “705 milioni su un totale di 2,6 miliardi”. Quindi tanto resta ancora da fare.
Prevarrà la sindrome Nimby?
Al di là della vicenda in sé, sarà interessante vedere come si approccerà il nuovo Governo alla questione. Se anche in questo caso, il M5S che pretende la presidenza del consiglio con il suo leader politico Luigi Di Maio, cambierà idea come ha fatto con alcune parti del proprio programma dopo il voto. Oppure se continuerà a ergersi a portabandiera dei fautori del “no a tutto”, della sindrome nimby, di quelli contrari a tutte le infrastrutture, dalla Tav Torino-Lione al gasdotto Tap. Insomma il futuro Governo avrà un battesimo di fuoco, dovendo gestire una di quelle situazioni che, di solito, nel nostro Paese diventano incendiarie. Basta vedere la guerriglia quotidiana in Puglia contro il gasdotto Tap che in confronto ha un impatto nullo rispetto a un deposito nucleare.