Avete mai ascoltato il suono della foresta pluviale? Non il sottofondo che spesso accompagna i documentari. E neanche quelle registrazioni catturate all’interno di quello che, a tutti gli effetti, è uno degli ambienti più affascinanti del mondo. Parliamo dei suoni “live”, senza manipolazioni o montaggi. Quelli che potremmo sentire solo se ci trovassimo, in questo momento, in mezzo alla fitta vegetazione dell’Indonesia, dell’Ecuador o del Camerun. Se non avete mai avuto la possibilità di vivere questa esperienza potete facilmente rimediare con un’app, completamente gratuita, creata da Rainforest Connection, un progetto che ha come obiettivo quello di salvare milioni di alberi dalla deforestazione recuperando vecchi cellulari in disuso. Secondo l’Onu, infatti, più del 90% de disboscamento effettuato in questi territori è illegale.
Il mondo di Topher White
Dietro il progetto c’è un trentaseienne ingegnere californiano appassionato di tecnologia. Si chiama Topher White e la sua vita è cambiata sette anni fa, nel 2011, di ritorno dal Borneo. White è uno di quelli che i suoni della foresta pluviale li ha ascoltati per davvero, a fondo, comprendendone sia la bellezza che la maledizione. Sì, perché dietro a tutto ciò si nasconde più di un problema. I decibel altissimi dei versi degli animali sono capaci di nascondere altri rumori molto meno melodici: quelli prodotti dalle motoseghe in azione che, ogni anno, devastano il patrimonio naturale del pianeta. “Nel 2011, da turista, giunsi nella foresta pluviale del Borneo e ne rimasi incantato. Quello che mi colpì di più fu il travolgente suono della foresta. Cicale, gibboni, uccelli. Un’armonia meravigliosa, un concerto i cui strumenti erano gli animali stessi. Non notai affatto il suono delle motoseghe. Nessuno, del resto, era in grado di percepirlo”. Ma i segni del passaggio umano erano ben visibili: “Durante un’escursione abbiamo potuto osservare i resti di un albero secolare che era stato abbattuto da pochissimo tempo. Lì, a pochi metri da dove stavamo. Ho trovato inaccettabile che nessuno potesse sentire un rumore così devastante e, di conseguenza, non poter intervenire con tempestività”. White ha raccontato questa storia nel 2015, a Ginevra, invitato dal CERN come ospite del suo evento TEDx. Tutto dopo una campagna crowdfunding di successo su Kickstarter.
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Salvare le foreste (con l’economia circolare)
Una volta tornato in California, White si è messo a cercare a una soluzione. “Ero alla ricerca di qualcosa che fosse efficace. Poi a un tratto ho capito che quello di cui avevo bisogno era già presente in quel paradiso”. Così, con l’aiuto di alcuni amici, è riuscito a sviluppare un sistema di controllo e monitoraggio che ancora oggi sta dando una grossa mano alle guardie che hanno l’incarico di presidiare quei luoghi. Tutto sfruttando una connessione che in quelle zone è molto presente: “Sembra sorprendente ma nel Borneo c’è pochissima elettricità ma un ottimo segnale di rete”.
Il funzionamento del sistema è molto semplice: “Se abbiamo un dispositivo per ascoltare i suoni della foresta da connettere alla rete di cellulari e che invii un allarme alla gente del posto, forse abbiamo risolto il problema”. Primo passo, quindi, è stato quello di registrare con un programma specifico, come fosse un documentarista, il rumore deleterio delle motoseghe in azione. Il secondo, quello più decisivo, è stata la scelta del dispositivo da usare per trasmettere questo allarme. E su questa scelta, White aveva pochissimi dubbi: “Ogni anno milioni di cellulari vengono gettati via solo negli Stati Uniti. Che cosa succederebbe, invece, se trovassimo per loro un nuovo utilizzo? Questo è esattamente quello che cerchiamo di fare con Rainforest Connection”. Le caratteristiche in fondo di questi oggetti sono compatibili con le finalità del progetto: “Sono pieni di sensori e possono veicolare i messaggi d’allarme per fermare chi vuole abbattere intere porzioni di foreste”.
Una scatola anti-vandali
Per funzionare a dovere, però, questi cellulari devono essere protetti. Così White ha inventato delle scatole speciali in grado di difendere questi oggetti dalle intemperie esterne. Scatole che sono monitorabili dalle guardie e sostituite in velocità in caso di rottura o sparizione. Per poter poi ricaricare i cellulari è stato ideato un pannello solare che potesse adattarsi con facilità alla fitta vegetazione del luogo. Anche questi pannelli sono fatti di materiale riciclato e i primi esemplari sono stati direttamente assemblati da White nel garage dei suoi genitori: “Non appena sono sceso dall’albero dove abbiamo installato il primo dispositivo ho ricevuto immediatamente una mail: aveva già captato il primo suono di motosega. Abbiamo fermato i disboscatori in azione. Una grande emozione”.
Dopo che il video e il progetto sono diventati virali (il canale TED su YouTube è molto seguito), il giovane ingegnere ha ricevuto moltissimi attestati di fiducia da tutti e cinque i continenti. Sono state tantissime le persone che hanno chiesto informazioni su come potessero inviare i loro vecchi cellulari usati, abbandonati in cassetti di scrivanie consunte: “In migliaia hanno iniziato a mandarci i loro vecchi modelli. Abbiamo fatto nascere un sistema, abbiamo creato una rete”.
Rainforest, oggi
Da allora molti degli abitanti di quei luoghi sono diventati collaboratori del progetto. E combattono insieme per raggiungere diversi traguardi: limitare la deforestazione selvaggia, abbassando il livello di CO2 nell’atmosfera e portando lavoro nelle zone colpite; denunciare il bracconaggio combattendo l’estinzione di molte specie che vivono nelle foreste pluviali; portare avanti un progetto di monitoraggio bio-acustico che sappia raccontare al meglio le unicità di quei luoghi. “In Ecuador abbiamo monitorato due specie di pappagalli a rischio di estinzione e che ora i nostri partner hanno reintrodotto in una riserva naturale. I nostri suoni, i nostri avvisi e le nostre attività stanno aiutando i ranger a monitorare, supportare e proteggere la reintroduzione della specie nel loro habitat”. Dopi i primi testa a Sumatra, questa tecnologia è utilizzata in Camerun, Ecuador, Perù e Brasile. Ma è diventata realtà solo grazie alla collaborazione di persone provenienti da ogni angolo di questo pianeta e dal riciclo di un telefonino che può avere una vita molto piuù lunga di quello che ci possiamo attendere.