Ho provato a vivere per due settimane senza Google. L’ho fatto un po’ per vedere come funziona il P40 Pro - nuovo top di gamma di Huawei - ma soprattutto per sperimentare la vita al di fuori di un monopolio. O, meglio, del duopolio che ci è stato imposto nel mondo della tecnologia: Android da una parte e iOs dall’altra. Per semplificare: Google contro Apple.
Che poi dire ‘contro’ è una parola grossa perché, come ha dimostrato la pandemia, sono bravissimi a marciare fianco a fianco quando serve. O quando gli conviene.
Ma andiamo per ordine.
Ormai anche i meno accorti sanno che gli smartphone funzionano sulla base di due sistemi operativi che sono quasi incompatibili tra loro (provate a spostare le chat di WhatsApp da uno all’altro). Una volta esisteva un terzo sistema operativo – Windows Mobile – che non era poi così male, ma quelli di Microsoft non sono stati abbastanza bravi da sfruttare l’integrazione con il pc al punto da renderla esclusiva e si sono fatti mettere in un angolo fino a essere costretti a mollare.
Così noi oggi ci ritroviamo con due scelte: iOs, ovvero tutto quello che è iPhone, iPad, iWatch e ammennicoli vari, e Android, ossia quello che fa funzionare tutto il resto: Samsung, Xiaomi, Oppo, OnePlus, Vivo, Wiko e Huawei. Ma come, direte, Huawei non era stata esclusa dalla partita?
Le cose sono un po’ più complicate di così, perché l’amministrazione Trump ha proibito a Google di vendere licenze a Huawei, ma non può impedire al colosso cinese di usare quello che è gratis, ossia il sistema operativo Android che è open source. Su Android, però, girano i Google Mobile Service (Gms) come Play Store, Maps, Google Pay, Drive, Gmail e così via. Sulla base di questi Gms funzionano app come quelle per il car sharing, il turismo (TripAdvisor) e l’home banking. Tutta la faccenda è spiegata bene qui, mentre noi dobbiamo concentrarci su cosa è successo nel frattempo.
Huawei, che è un gigante da 180 mila dipendenti e ha macinato ricavi per 23,7 miliardi di dollari in piena crisi da coronavirus, non è rimasta a guardare e ha investito tre miliardi di dollari nello sviluppo di una cosa che si chiama Hms (Huawei mobile service) per sostituire i Gms. E qua torniamo al punto di partenza: si può vivere senza i Gms e solo con gli Hms? Sì, si può. Con qualche inciampo e più di una rinuncia, ma si può. Il punto è un altro: com’è vivere fuori dal più invasivo monopolio che l’umanità abbia conosciuto?
L’ho scoperto quando ho deciso di usare soltanto il P40 Pro per due settimane, mettendo in un cassetto il P30 Pro, sul quale Google e i suoi derivati funzionano (e continueranno a funzionare) senza problemi.
Bisogna dire che Huawei ha fatto di tutto perché la transizione a un sistema senza Gms fosse più indolore possibile. Basta usare Phone Clone, l’app sviluppata dalla casa, e sul nuovo telefono viene replicata una copia 1:1 del vecchio smartphone. Letteralmente. Al netto delle differenze di design e di hardware, quando ho preso in mano il P40 era come se non avessi mai lasciato il P30. Stesse icone, raggruppate nello stesso ordine, nella stessa identica posizione. Persino le chat di WhatsApp e gli account degli altri social erano stati riportati fedelmente. E tutto ha funzionato alla perfezione fin dal primo momento.
Proprio tutto? No, in realtà no. Maps, a differenza di quanto mi aspettavo funziona, ma non esistendo un account Google, non registra posizioni come ‘casa’ o ‘lavoro’ e soprattutto non tiene traccia della cronologia dei nostri spostamenti. Paradossalmente Waze (ottima app di navigazione) che è di proprietà di Google funziona perfettamente e tiene le posizioni che vogliamo memorizzare.
Per quanto riguarda Gmail basta configurare i parametri della app di posta elettronica del telefono ed è accessibile e fruibile come qualunque altro account. Trenitalia – che non dovrebbe funzionare – funziona, anche se senza geolocalizzazione e così tutti i social e i servizi di messaggistica. Insomma, fino a un certo momento – di cui parleremo – tutto come se nulla fosse successo. Merito soprattutto di una ‘app delle app’ che si chiama (non a caso) TrovApp e che è stata sviluppata per aiutare i meno sgamati a trovare sostituti (più o meno validi) alle applicazioni che non ci possono più essere o scorciatoie via web.
Sì, perché basta utilizzare il browser dello smartphone e le ricerche di Google sono utilizzabili. Così come i video di YouTube, anche se non attraverso la app dedicata. Io, che per lavoro uso tantissimo Analytics (serve a misurare quanta gente sta su un sito in un dato momento) in teoria non avrei potuto usarlo, ma ho avuto accesso senza problemi via browser. Il tema della affidabilità di TrovApp, però, resta aperto. Tra i siti di download suggeriti da TrovApp ci sono store come APK Pure che non garantiscono lo stesso livello di protezione dal malware di quelli ufficiali. E non è poco.
A questo proposito ho chiesto al team di TrovApp quali garanzie offrono. “TrovApp nasce con l'obiettivo di rappresentare uno strumento utile a tutti coloro che scelgono un device Huawei HMS e che, sulla nostra app, possono trovare soluzioni provenienti da diversi store. Primo tra tutti AppGallery, ma anche Amazon Appstore, gli apk ufficiali disponibili sui siti (vedi Facebook/Whatsapp) e store alternativi come ApkPure” mi è stato risposto, “Su quest'ultimo in particolare, è possibile trovare circa il 90% delle applicazioni per Android. ApkPure gestisce autonomamente gli aggiornamenti delle app e non richiede registrazione. Si tratta infatti di una repository di app gestita da terzi. Le applicazioni, come specificato sul sito di ApkPure, sono esattamente le stesse del Play Store senza nessuna modifica. Una volta selezionata la app da scaricare da ApkPure, il sistema antivirus presente sullo smartphone, si occuperà di verificare eventuali virus o malware”. In sostanza la sicurezza finale è affidata all’antivirus del device che, a questo punto, deve essere sempre aggiornato.
Le cose si sono fatte più complicate quando ho dovuto accedere al mio conto corrente. La mia banca non ha ancora sviluppato l’app per Hms e così mi sono trovato davanti a un muro. Accedere via web? Buona idea, se non fosse che la app serve anche a generare il token che permette l’accesso via browser. Ecco, a quel punto ho dovuto tirar fuori dal cassetto il P30 e usare quello.
Ma per il resto? Fin qui tutto bene, direi, ma forse c’entra il fatto che il lockdown limita notevolmente la mia capacità di manovra e quindi la possibilità di usare altre app. Ma non so quando mi ricapiterà di comprare dei biglietti per il cinema con l’applicazione dedicata o di prenotare un tavolo in un ristorante con TheFork.
La differenza vera la fa il Cloud. Scegliere di abbandonare Google significa non avere più disponibile su qualunque device i nostri dati: cronologie, fotografie, video, documenti… tutto a portata di mano. A meno di non scegliere di spostarsi integralmente sull’ecosistema che Huawei sta mettendo a punto e che certo non ha dalla sua l’esperienza ultradecennale di Google.
E, certo, in quel caso significa affidare a Huawei i dati che fino ad allora risiedevano su Google, a partire da quelli registrati dagli smartwatch (battito cardiaco, ossigenazione del sangue, attività fisica).
Resta il fatto che uno degli smartphone migliori sul mercato e con un apparato fotografico che nessun altro può vantare resta precluso a una gran fetta di utilizzatori che non vuole accollarsi la rogna di migrare da un sistema conosciuto (con tutti i suoi molteplici difetti) a uno da conoscere. E questo per la tigna che la Casa Bianca ha messo in una guerra commerciale in cui non c’entrano né Google, né gli smartphone, ma solo la battaglia per prevalere nel mondo 5G. Ma questa, si direbbe, è un’altra storia.
@ugobarbara