Nel lungo post in cui Zuckerberg ha comunicato ai suoi fan su Facebook i suoi buoni propositi per il 2018 c'è un passaggio che è passato un po' in sordina, ma a mio avviso è quello più interessante del suo testo. Scrive infatti che per ovviare alla perdita di fiducia, di credibilità che la tecnologia ha subito negli ultimi anni, sta studiando i sistemi decentralizzati delle criptovalute. Detto in altri termini, sta studiando la blockchain. Probabilmente immagina qualche applicazione del protocollo di Bitcoin, che per molti è la vera rivoluzione delle criptovalute, ma che finora in pochi sono riusciti ad applicare concretamente (a parte qualche furbetto).
Zuckerberg parte dal presupposto che l'anima rivoluzionaria di Internet e delle nuove tecnologie è scemata. Scrive nel suo post: "Uno dei temi più importanti che interessano oggi la tecnologia è la questione centralizzazione contro decentralizzazione [del controllo delle tecnologie, ndr]. Molti di noi hanno abbracciato la tecnologia credendo che avrebbe dato più potere alle persone. Negli anni Novanta e Duemila", ha osservato, "molti credevano che la tecnologia sarebbe stata una forza decentralizzata", quindi non soggetta al controllo di un'autorità centrale, come governi, o istituzioni sovranazionali. Ma oggi molte persone hanno perso questa fiducia".
Vero. L'anno 2017 si è chiuso nel nome di un neologismo, creato da The Economist, in cui si sintetizzava un deciso cambio di approccio nei confronti dei giganti del tech. Techlash, lo hanno chiamato. La risacca di sfiducia dopo l'ondata di entusiasmo degli ultimi decenni. Il consenso della Silicon Valley e dei suoi campioni è drasticamente calato. Un po' per lo strapotere che hanno acquisito le cinque sorelle (Amazon, Google, Apple, Microsoft e appunto Facebook). Un po' per le sferzate arrivate negli ultimi mesi da Trump, ma anche dall'Unione europea.
"Con l'ascesa di un piccolo numero di grandi aziende tecnologiche - e con i governi che utilizzano la tecnologia per controllare i loro cittadini - molti oggi credono che la tecnologia centralizzi il potere anzichè decentralizzarlo", ha ammesso Zuckerberg.
La soluzione Zuckerberg la sta cercando nelle criptovalute. Più precisamente nel loro protocollo, la blockchain appunto. Blockchain consente lo scambio di 'informazioni' in rete (cos'è Bitcoin alla fine se non un'informazione?), certificandone l'autenticità e la loro 'non replicabilità' non attraverso la garanzia di un'istituzione centrale (ad esempio le banche centrali) ma tramite una rete distribuita e aperta a tutti di libri contabili diffusi. La fiducia verso l'istituzione nella blockchain si smembra in un'infinita serie di controllori che non regalano alla causa la loro correttezza e precisione, ma la garantiscono in cambio di discreti guadagni.
Ha infatti ammesso il numero uno di Facebook che "Ci sono già delle controtendenze di questo fenomeno - come la crittografia e il mondo delle criptovalute - che tolgono il potere dalle istituzioni centrali e lo rimettono nelle mani delle persone. Ma il rischio è che siano troppo difficili da usare. Mi interessa approfondire e studiare gli aspetti positivi e negativi di queste tecnologie e il modo migliore di usarle nei nostri servizi".
Può darsi che Zuckerberg pensi al protocollo blockchain per ridare credibilità al tech, come ha detto nel suo post. Può darsi anche che dietro la sua scelta ci sia la volontà di farsi trovare pronto alla sfida che i colossi cinesi come Alibaba e WeChat stanno lanciando sul lato criptovalute. Ad oggi queste aziende fanno buona parte dei loro ricavi dal mobile payment, anche in criptovalute. Crearsi un sistema di pagamento digitale su Facebook basato su 'token' (una criptovaluta, oppure dei 'contratti di credito') che gli utenti potrebbero scambiarsi sulla piattaforma per comprare beni, tra di loro ma anche direttamente con gli ecommerce.