Audrey Tang ha 36 anni ed è il ministro per il Digitale di Taiwan. Non è la sua pur giovane età a fare notizia, ma una buona serie di fatti distinti che caratterizzano l’inusuale biografia di questo personaggio, a cominciare dal fatto che si tratta del primo ministro transgender al mondo. All’età di 25 anni in un post intitolato “Runtime Typecasting” si rivolge alle community tecnologiche di cui fa parte e annuncia la sua decisione di riconciliare il suo aspetto esteriore con la sua vera identità, e così Autrijus diventa una ragazza di nome Audrey. Nel gergo informatico, “Runtime Typecasting” indica la conversione di una variabile da un tipo ad un altro (ad esempio, da numerico a testuale) mentre il programma è già in esecuzione; un cambiamento in corsa, dunque, ed è una metafora al tempo stesso tecnica e poetica. Ma andiamo oltre.
Un ministro hacker e anarchico
Inusuale per la figura di un ministro è anche il fatto che Audrey Tang sia un hacker e si consideri un’anarchica, anzi un’aderente a quell’anarchismo tecnologico che crede nella necessità di rifondare la società sulla cultura del web. Tang sta portando il governo taiwanese a deregolamentare la cosiddetta sharing economy, ad adottare una trasparenza estrema e ad offrire ai cittadini tante risorse digitali gratuite e libere, con l’obiettivo di creare una società digitale.
La notorietà di Audrey come hacker è legata soprattutto al suo ruolo chiave nelle community tecnologiche di Perl e Haskell e alla sua ambiziosa implementazione del linguaggio Perl 6 nell’ambito del progetto Pugs da lei avviato. Ma nel 2010 aveva fatto parte del comitato che aveva definito proprio lo stesso Haskell, uno dei linguaggi di programmazione più sofisticati dell’ultimo decennio. Tra i suoi progetti open source, che superano il centinaio, vanno citati PAR, uno strumento di distribuzione multipiattaforma di applicazioni Perl, ed EtherCalc, il famoso editor di spreadsheet online alternativo a Google Docs.
Prima di compiere 15 anni fonda un motore di ricerca di successo, poi lascia la scuola superiore e si trasferisce nella Silicon Valley dove lavora in diverse aziende di software ed approda ad Apple. Verso i 30 anni torna a Taipei e il governo la nomina responsabile della cybersecurity e della trasparenza, per poi, nel 2016 proporle l’incarico di ministro per il Digitale (senza portafoglio).
Politiche digitali, innovazione e trasparenza
Il mandato del ministro Tang è quello di quello di trasformare Taiwan nella Silicon Valley asiatica, obiettivo che potrebbe sembrare vicino considerando le 430mila startup già attive e il fiorente settore legato all’hardware che ammonta a 130 miliardi di dollari (l’85% dei computer portatili del mondo è prodotto qui), ma in un momento storico in cui la competizione si gioca sull’innovazione l’isola manca, secondo Tang, di un grande player come Google che operi ad esempio nel cloud computing o nell’Internet of Things. Tra i compiti del giovane ministro ci sono il potenziamento della pubblicazione degli open data, l’attivazione di nuovi servizi digitali a misura dei cittadini e l’adozione di strumenti di intelligenza artificiale per liberare i dipendenti pubblici dai lavori di routine e consentire loro di concentrarsi sui veri problemi dei taiwanesi. Insomma, un vero e proprio piano di agenda digitale come quelli che conosciamo noi, che passa anche per il supporto alle startup, la lotta alle fake news, la banda larga e la riduzione del digital divide. Il primo passo di Tang è stato di supportare il governo nella stesura di un Piano Nazionale per il Digitale con un programma di otto anni che punta a collocare Taiwan tra le prime dieci nazioni al mondo nell’IT entro il 2025. Al termine del primo anno è prevista la costruzione di un repository nazionale di software libero a disposizione di tutti i cittadini e delle aziende, e si sta studiando la deregolamentazione del settore fintech per dare spazio alle startup. Il resto del piano è prevalentemente costituito da investimenti, azioni per attrarre talenti dall’estero, supporto agli acceleratori di startup, quadri normativi sperimentali - aspetti su cui Tang non è coinvolta direttamente. L’impressione è che questo piano abbia un ruolo centrale nelle politiche di sviluppo economico del paese guidato dalla presidente Tsai Ing-wen.
Tang ha adottato per sé, e promuove a livello di società, il concetto di “radical transparency”: di qualsiasi suo incontro privato, che sia con un giornalista o con un politico, si deve pubblicare la trascrizione integrale. In puro stile anarchico, e peraltro in linea con le modalità lavorative tipiche di una startup, Tang rifiuta le relazioni gerarchiche o burocratiche, e i suoi 15 collaboratori sono liberi di produrre delle roadmap settimanali organizzando in proprio il lavoro. Grazie al lavoro di Tang, Ad oggi Taiwan è riconosciuto dalla Open Knowledge Foundation come la nazione con la migliore copertura di open data.
Partecipazione, la democrazia come un gioco a tappe
Ogni settimana Tang e il suo staff raccolgono petizioni popolari e sottopongono al primo ministro tutte quelle che raggiungono almeno 5mila firme, invitandone di persona i portavoce. Poiché la libertà di espressione, incluso l’anonimato, è un valore intoccabile, se qualcuno non volesse presentarsi di persona può partecipare con uno pseudonimo inviando messaggi durante lo streaming dell’incontro. “Solo se il governo si fida della società civile i cittadini ricambieranno la fiducia, ma al governo spetta la prima mossa”, spiega Tang, aggiungendo che gli strumenti per un la partecipazione estesa devono essere quelli dei più grandi progetti open source. Il processo democratico “va immaginato come un gioco”, spiega su Medium. “Il voto va considerato come un primo livello, equivalente a cliccare ‘mi piace’ sui social network, e poi man mano che si avanza ci sono gli open data, i forum, il confronto con i politici, fino ad un’agenda setting non più calata dall’alto”.
“Gli ostacoli ci sono” - ammette - “ma sono risolvibili con un cambiamento culturale. Quando i dirigenti pubblici sentono espressioni come ‘civic hacker’, ‘partecipazione’, ‘trasparenza’ le associano ad uno scenario di protesta da parte di masse incolte. Ma con i nostri incontri regolari vediamo che le persone che firmano le petizioni online non sono dei sovversivi, ma sono ad esempio degli user experience designers che vogliono contribuire a migliorare il processo di dichiarazione dei redditi”.
Il ruolo dei ‘civic hackers’
Tang ha sviluppato in prima persona alcune piattaforme open source, come g0v.tw, un’iniziativa che ha reso pubblico (e comprensibile) il bilancio del governo e promuove “la trasparenza delle informazioni, focalizzandosi sullo sviluppo di piattaforme e strumenti utilizzabili dai cittadini per partecipare alla società”. Il progetto è corredato da una chat Slack con oltre 3mila utenti, hackathon periodici e ad oggi 369 repository su GitHub. Tra questi troviamo una dashboard per la pubblicazione di dati sull’ambiente, una libreria software per controllare la rispondenza di salari e condizioni di lavoro al Taiwan Labor Standards Act, documentazione collaborativa, strumenti per convertire le leggi in formato JSON e Markdown e così via. In totale, dichiara Tang, hanno contribuito 100mila persone.
Un’altra piattaforma già attiva è Taiwan.tw, che è finalizzata alla discussione di politiche online con i cittadini. È già stata usata per regolamentare Uber in modo partecipativo, e successivamente anche Airbnb. Le attività legate al progetto vTaiwan sono tracciate in una bacheca Trello pubblica, sempre nell’ottica di dare trasparenza per ricevere fiducia. Ai ministri sono concessi 7 giorni per dare risposte alle domande sollevate all’interno della piattaforma.
La comunità che Tang ha chiamato a raccolta è quella dei “civic hacker”, cittadini che su base volontaria contribuiscono a progetti di rilievo civico. Il messaggio a loro rivolto è “Fork the government!” [], che riprende il gergo informatico in cui il fork di un software è una variante personale, tipicamente migliorativa rispetto all’originale.
Come la realtà virtuale può aiutare la democrazia
Audrey Tang è convinta che la realtà virtuale sia uno strumento chiave per migliorare i processi partecipativi. La possibilità di partecipare a riunioni remote con una modalità immersiva migliora l’empatia tra i partecipanti e permette di rivivere le registrazioni con maggiore dettaglio, abbattendo le barriere comunicative. Inoltre la possibilità di visualizzare scenari sottoforma di simulazioni consente scelte più informate da parte dei cittadini: ad esempio, un progetto urbanistico visto in planimetria è comprensibile solo agli architetti mentre una simulazione virtuale, dice Tang, lo rende sperimentabile da tutti. Anche semplicemente sostituendo le slide con delle rappresentazioni tridimensionali immersive consentirebbe una maggiore comprensione di problemi non riducibili alle due dimensioni (il cosiddetto “effetto della veduta d’insieme”). Infine, l’adozione della realtà virtuale aiuterebbe anche la condivisione della conoscenza (“guardando un video puoi imparare la matematica, ma è più difficile imparare come riparare un motore o un dispositivo elettronico”).
Così intesa, la realtà virtuale diventa una “realtà condivisa” e quindi un veicolo di pluralità. La centralità delle tecnologie nella visione di Tang è solo apparente, perché -precisa- devono servire a rimettere l’essere umano al centro facilitando l’empatia e la fiducia reciproca. “Gli sviluppatori di codice e il legislatore devono convivere e trovare insieme le soluzioni ai problemi, senza che nessuno monopolizzi il processo”, afferma in un’intervista al magazine Ketagalan Media in cui tra l’altro annuncia anche un progetto di revisione della costituzione che tenga in considerazione l’evoluzione storica delle telecomunicazioni. La storia di Audrey Tang e del suo Taiwan come esperimento a cielo aperto, probabilmente, è solo all’inizio.
@alranel