Solo gli over 40 e i nerd si ricorderanno di una guerra che tra gli anni ’70 e i primi anni ’80 vide opposte Sony e Jvc. Si trattava di decidere quale standard usare per le videocassette e alla fine la spuntò il format VHS della Jvc. Circa un anno fa è stata chiusa l’ultima fabbrica di videoregistratori al mondo e quel sanguinoso confronto è avvolto nell’oblio dei nastri magnetici. Ma tutto sommato quello che accadde non era tanto diverso dalla guerra che oggi oppone i sostenitori di iOs a quelli di Android.
Ecco, è a questo che dovete pensare per capire cosa succede – o, meglio, cosa rischia di non succedere, nel tanto celebrato mondo dell’Internet of Things (IoT).
Il rapido sviluppo del settore ha portato al moltiplicarsi delle soluzione per mettere in connessione – ad esempio – uno smartphone con un climatizzatore. La società di consulenza Gartner prevede che entro il 2020 saranno in funzione oltre 20 miliardi di dispositivi connessi in tutto il mondo. Ma per connettere i sensori antincendio all’allarme di casa ed entrambi al vostro cellulare o il cruscotto dell’auto al centro di assistenza bisogna che questi oggetti parlino la stessa lingua. E oggi non lo fanno.
I dati dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano confermano che il mercato della smart home in Italia ha superato a fine 2016 i 180 milioni di euro (+23% rispetto al 2015). Una ricerca Risco Group – azienda specializzata nello sviluppo di soluzioni di sicurezza integrate – conferma il potenziale di crescita del mercato smart home nel nostro Paese: il 64,4% dichiara di aver sentito parlare di smart home e il 20% già possiede almeno un dispositivo intelligente in casa.
Nel pc che avevate a casa nel 2001 c'erano oltre 251 standard di linguaggio. Già solo questo avrebbe reso praticamente impossibile un IoT che andasse anche appena al di là delle operazioni più banali, come comandare l’accensione della lavatrice mentre siete a cena con gli amici (ammesso che abbiate una reale ragione per farlo!)
Prevedere la fine del caos di standard non è facile, ma le aziende si ricordano bene del modello di scontro Vhs/Beta e vogliono impedire che si ripeta un simile, inutile scempio. In sostanza parlare di tecnologia e implementazione dell’Internet delle cose ha senso solo se i dispositivi che ‘vivono’ in diversi ecosistemi non solo lavorano insieme, ma comunicano tra loro.
Ma quale lingua devono parlare? Per decidere tutto – dall’alfabeto alla grammatica – erano nate due associazioni: la Allseen Alliance e la Open Connectivity Foundation (Ocf). Entrambe avevano messo a punto due progetti per realizzare un linguaggio comune: IoTivity e AllJoyn. Per fortuna si sono rese conto per tempo che andare avanti su strade separate avrebbe significato replicare la guerra Vhs/Beta o lo sterile confronto Apple/Windows e iOs/Android e hanno deciso di fondersi. Ne è nato un colosso (sotto la sigla Ocf) che conta centinaia di marchi: da Accenture a Lg; da Samsung a Microsoft. La lingua che ne verrà fuori dovrebbe essere la stessa se si tratta di una rete Wi-Fi domestica, di una connessione Bluetooth o di servizi cloud.
Come per qualsiasi lingua, ci sono alcuni fondamentali che devono essere inclusi, come la grammatica per stabilire le regole che diano un senso alle cose. L'Ocf sta costruendo la grammatica che costituirà l'IoT, assicurando che tutta la comunicazione tra dispositivi o piattaforme abbia un senso.
Non c’è solo l'incompatibilità a preoccupare le aziende: c’è anche la sicurezza. La tecnologia e l'implementazione in Internet delle cose non realizzano il loro obiettivo se i dispositivi che lavorano insieme non lo fanno in modo sicuro. Naturalmente gli sviluppatori possono far dialogare tra loro diversi ecosistemi, ma questo complica lo sviluppo e aumenta i costi. Oltre a complicare ulteriormente la sicurezza.
Chi manca nella lista dei colossi che hanno deciso di mettere da parte le rivalità per lavorare insieme? Indovinato: Apple. Una scelta che non sorprende, visto che da sempre la casa di Cupertino ha deciso di giocare un campionato a sé, ma che rischia di costarle caro. L'evoluzione del device sembra non conoscere limiti - display sempre più nitidi, fotocamere con una definizione sempre maggiore - ma presto o tardi la sfida si sposterà dal device più cool a quello più utile e l'utilità si misurerà in connettività. Quindi o Apple ha già in mente di mettersi a produrre lavatrici, frigoriferi e climatizzatori o rischia di restare esclusa dalla vera sfida del futuro.
Il fulcro di tutta la connettività sarà ovviamente lo smartphone e non a caso due delle società 'diamond member' dell'Ocf - Samsung ed Lg - hanno potenziato al massimo la connettività nei loro cellulari di punta: l'S8 e il G6.
Perchè piace la Smart Home
- sicurezza (79%)
- riduzione dei consumi (42%)
- comfort domestico (41,5%)
- gestione da remoto di accessi (31%) ed elettrodomestici (28,7%)
S8 monta Samsung Connect per attivare facilmente i device IoT utilizzando una configurazione rapida e gestire tutti i dispositivi connessi tramite un'unica app. Ma è anche dotato di una nuova intelligenza artificiale: Bixby che comprende, scrive e naviga per l’utente. Basta puntare la fotocamera su ciò che interessa e Bixby può tradurre testi, può trovare il prodotto che si sta inquadrando online o semplicemente fare la scansione di un codice a barre o un codice QR.
LG, da parte sua, cerca di replicare sul G6 l'esperienza degli schermi tv. Come sottolinea David Draghi, mobile communication director di Lg, nonostante abbia un diplay da 5,7 pollici e una proporzione da 18:9, è facile da tenere in una mano ed è stato testato da gruppi di ricerca sull’ergonomia della Pennsylvania State University e della Yonsei University per la stabilità della presa, il comfort in diverse posizioni e azioni, così come l'affaticamento muscolare quando si utilizza lo smartphone per lunghi periodi.
Un trend destinato a crescere
Il 10,2% dei consumatori italiani sostiene di avere intenzione di acquistare oggetti intelligenti e connessi nei prossimi 2 anni, oltre al 42% che si dichiara disposto a investire tra i 1.000 e i 5.000 euro per rendere la propria casa più sicura, smart e confortevole grazie alla tecnologia.
Solo una minima percentuale di italiani (1,9%) non ha intenzione di connettere gli oggetti di casa. Tra le principali remore all’adozione di soluzioni smart home si annoverano i costi elevati (47%), il timore di malfunzionamenti (41%) e la paura di essere hackerati (37%). Inoltre, anche la paura di dover effettuare lavori invasivi in casa rappresenta una preoccupazione abbastanza comune tra i consumatori (30,9%).
Chi resta fuori dal gioco rischia di fare la fine di quelli che, dieci anni fa, nella fredda Scandinavia pensavano che l'iPhone fosse un giocattolo per bambini troppo cresciuti.