Tra i cambiamenti che gli ambienti digitali connessi stanno introducendo nell’uso che facciamo della nostra lingua, l’aspetto che viene più sottolineato è legato ad innovazioni di tipo formale, come ad esempio la diffusione di nuove parole (trollare, unfolloware), l’uso crescente di acronimi (lol, tvb) e di forme univerbate (evvai, chemmeraviglia, apperò, mobbasta), o l’impiego generalizzato di emoji ed emoticon, per dare espressività ai nostri testi. Se è innegabile che questi fenomeni stanno in effetti interessando la lingua che usiamo nei social media, si tratta tuttavia di fenomeni di superficie, che rivestono un interesse passeggero, legato spesso a mode occasionali.
L'era della parola scritta
Per indagare i mutamenti introdotti nella lingua dalla comunicazione digitale dobbiamo invece analizzare il cambiamento, ben più profondo, che si sta verificando nel rapporto che abbiamo con la parola scritta. Le generazioni che popolano i social media sono storicamente quelle che utilizzano di più la scrittura: anche se il parlato resta ancora la modalità comunicativa di cui ci serviamo di più, è innegabile che il nostro periodo storico è quello in cui usiamo di più la parola scritta, e lo facciamo soprattutto per interagire e dialogare quasi in tempo reale con altre persone.
Dalla forma 'ponderata' a quella 'fluida'
Quest’uso conversazionale è tradizionalmente estraneo alla scrittura, originariamente distante dalla comunicazione immediata. Nata per fissare le idee in una forma chiusa e definita, la scrittura è sempre stata legata a forme di comunicazione asincrone, analitiche e ponderate. La scrittura digitale degli ambienti connessi è invece immediata, dialogica, rapida e sempre protesa verso altri testi; procede per frammenti brevi e continui - così come fa tradizionalmente il parlato - dando vita a flussi ininterrotti di conversazioni di massa.
Per far fronte a queste mutate abitudini sociali e comunicative, la scrittura degli ambienti digitali connessi deve dunque adeguarsi alla logica del consumo immediato: diventa di conseguenza:
- fluida
- mutevole
- negoziabile
Un emoticon ogni 100 parole
Per svolgere queste nuove funzioni dialogiche, si sforza di inventare le forme che le mancano, si adatta al suo nuovo ruolo modificando quello degli elementi che tradizionalmente le appartengono. Ecco allora, in assenza di segnali visivi come le espressioni del viso, che usa la punteggiatura non più solo per marcare sintatticamente la suddivisione in frasi, ma anche per dare enfasi ed esprimere emozioni (i punti esclamativi o interrogativi ripetuti), per suggerire incertezza (i puntini di sospensione), o per segnalare una tendenza alla perentorietà (il punto fermo). Dalle nuove necessità conversazionali deriva inoltre l’uso sistematico di emoticon (sul Twitter italiano usiamo in media un emoticon ogni cento parole), che negli ambienti digitali svolgono alcune funzioni cruciali e non meritano, dunque, la sufficienza con cui a volte sono bollati come futili e scarsamente dignitosi. Oltre all’ovvia funzione di esprimere graficamente un’espressione del viso legata ad uno stato d’animo (gioia, tristezza, noia, incredulità ecc.), gli emoticon servono anche per manifestare empatia con gli interlocutori, e per attenuare la forza di un messaggio, che senza faccine potrebbe altrimenti essere scambiato per ostile o aggressivo.
L'innovazione parte dallo scritto
Queste e le tante altre innovazioni che la nuova scrittura digitale, liquida e connessa, sta introducendo per adeguarsi alla comunicazione istantanea, scardinano di fatto un altro assunto consolidato: che le lingue cambiano soprattutto grazie all’influenza del parlato, più dinamico e aperto ai mutamenti, e dunque in grado di proporsi come motore dell’innovazione linguistica, che solo nel tempo viene poi accettata e codificata nello scritto. Al contrario, lo scritto digitale e conversazionale sta man mano facendo suo questo ruolo di portatore di innovazione, proponendosi come una delle modalità più dinamiche e vitali della comunicazione linguistica.
Usiamo la lingua digitale, ma non trascuriamo quella 'tradizionale'
Ciò nonostante (o forse proprio per questo), è proprio a questo scritto digitale ed immediato che si rivolgono le critiche di chi ritiene che la lingua italiana si stia imbarbarendo e impoverendo, di pari passo con le competenze linguistiche delle nuove generazioni, che troppo spesso si trovano in difficoltà nella comprensione e redazione di testi scritti di tipo tradizionale.
Un bellissimo articolo di Paola Pietrandrea afferma il principio che dovrebbe guidare tutti – insegnanti, famiglie, noi tutti utilizzatori quotidiani del linguaggio – nel rapporto con la nostra lingua: “la lingua è un bene comune” – scrive Pietrandrea – “curiamola tutti”. Insegniamo quindi ai ragazzi a padroneggiare sia lo scritto tradizionale, monologico e formale, sia il nuovo scritto digitale, conversazionale, rapido e informale. E facciamolo “senza pregiudizi sulla superiorità dell’uno rispetto all’altro, accettando solo di conoscerne e rispettarne le differenze, adattandovisi con pazienza”. Perché la varietà degli strumenti linguistici che i ragazzi hanno a disposizione per comunicare è di per sé un valore, se è accompagnata dalla consapevolezza che ogni strumento è appropriato a contesti e ambienti comunicativi specifici.