La Chiesa non è quasi mai tempestiva nell’affrontare i problemi della società. Sulla questione delle fake news, invece, è stata insolitamente rapida, con l'annuncio che la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali sarà dedicata proprio a questo tema. E questo è la spia di quanto urgente (e tutt’altro che superato) sia il problema.
E il momento di passare al contrattacco
Che siano originate da odii razziali, religiosi e politici, o da semplici rivalità sportive, sono ormai una costante nel dibattito on e offline e tra quelli che hanno deciso di correre ai ripari ci sono gli organizzatori del TechCamp che per la quarta volta hanno chiamato a raccolta esperti da tutta Europa non tanto per fare il punto, quanto per passare al contrattacco. Letteralmente.
Per farla breve: il TechCamp è organizzato dal Dipartimento di stato americano con lo scopo di promuovere qualunque attività favorisca il confronto e lo sviluppo delle istituzioni democratiche. Per ragioni ovvie si rivolge prevalentemente ai Paesi in cui queste istituzioni rischiano di subire l’influenza di vicini particolarmente ingombranti o di eredità ancora pesanti. E quindi ecco arrivare al TechCamp di Varsavia giovani da Georgia, Ucraina, Moldavia, ma anche Estonia, Bulgaria, Albania: tutti con un unico scopo: perfezionare metodi e sistemi per tenere a bada i rigurgiti nazionalisti, ma anche le cattive influenze.
Un arsenale di armi di verifica di massa
Tutto questo passa anche per le fake news e non risparmia quei media statunitensi che si sono contraddistinti per la creazione e la diffusione di balle più o meno colossali. Quello di Varsavia è stato il quarto appuntamento, dopo quelli in Georgia, Polonia e Belgio dei mesi scorsi. Gli organizzatori hanno pensato che è venuto il momento di vedere a che punto è lo sviluppo di quelle armi di verifica di massa che alla lunga dovrebbero liberarci delle fake news. O quanto mento offrirci gli strumenti per riconoscerle. Tra i tanti progetti di cui si è discusso, alcuni sono veramente creativi. C’è, ad esempio, Forbidden Facts, che sfrutta gli stessi criteri e gli stessi trucchi dei generatori di fake news per sbugiardarle. Il meccanismo è semplice: la retorica usata dagli avvelenatori di pozzi è sempre la stessa: titoli urlati, abuso di quelli che si chiamano ‘termini emozionali’ e click-baiting a go-go. Per chi ancora non sa cosa sia il click-baiting: sono quei titoli che lasciano la questione in sospeso e spingono a cliccare per saperne di più. Il genere “Non immaginate quale deputato è stato sorpreso a sbirciare un sito porno in aula”. E così via.
Ma c’è anche ‘Outrage Detector’, un algoritmo che proprio in base a questi criteri e analizzando la retorica insita nei titoli, assegna un punteggio. Facendo una prova sui titoli dei Guardian e della Bbc il punteggio è prossimo allo zero. Analizzando quelli di Breitbart schizza come la lancetta di un contatore Geiger sull’atollo di Bikini.
Poi c’è Second Opinion, messo a punto da un esperto di comunicazione sloveno. Parte dalla semplice idea che ognuno abbia il diritto di difendersi dalle falsità che lo riguardano offrendo al lettore la propria versione dei fatti. Non una ‘verità alternativa’ come va di moda in certi uffici, ma una versione dei fatti documentata e argomentata. Il sistema pattuglia i social network a caccia di attacchi più o meno mirati e poi avverte la ‘vittima’, invitandola a replicare. Può non servire a convincere tutti, ma almeno offre una difesa.
Un badge per distinguere i buoni dai cattivi
C’è però un’idea che ha preso a circolare. Assodato – perché ormai è così, no? – che non si possa affidare ai social network il compito di ergersi a censori, resta la possibilità di offrire a quei media che garantiscono un’informazione equa e documentata il crisma della attendibilità. Qualcosa di cui ovviamente non può farsi carico un unico soggetto contro il quale si scatenerebbero subito haters e troll di ogni risma, ma un insieme di attori, tutti parte in causa. Associazioni di giornalisti, organizzazioni della società civile, sindacati, ma anche istituzioni e partiti politici di ogni orientamento ed estrazione. Tutti insieme per stabilire quali sono i criteri di un’informazione affidabile, per poi applicarli a quei media che scelgono di sottoporre il proprio lavoro allo scrutinio. Forse un badge come quello che Facebook e Twiter assegnano ai profili verificati può non bastare a convincere gli scettici, ma almeno può servire a limitare il campo di azione di quei pseudo-media che, come i ciarlatani del vecchio West, distribuiscono pozioni che tanto assomigliano a quelle della Vecchia dell’Aceto.