C’è qualcosa che non va nelle nuove tecnologie. E c’è qualcosa che è profondamente cambiato nel modo in cui tutti le guardiamo. Sembra che l’entusiasmo con cui abbiamo accolto la rivoluzione degli smartphone, del web 2.0, dei social, sia tramontato, forse definitivamente.
Dagli Usa all’Europa si seguono da mesi critiche, paure. L’ultimo affondo è arrivato addirittura da Papa Francesco, il primo papa social, che ha accusato proprio i social di essere facile strumento di manipolazione e di diffusione di disinformazione, strumento subdolo che “nemmeno smentite autorevoli riescono ad arginare”.
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Ieri il fondatore e amministratore delegato di Saleforce, un gigante californiano del cloud computing e tra le aziende simbolo della nuova era delle startup americane. Marc Benioff in un’intervista alla Cnbc ha detto che i social fanno male, che gli stati, i governi dovrebbero cominciarli a regolare seriamente, “come fanno con le sigarette e lo zucchero”. Benioff non è un vecchio arnese della old economy, ma uno degli imprenditori più lungimiranti della Silicon Valley, capace di creare un colosso da 60 miliardi di dollari.
Ma si tratta solo degli ultimi casi di una lunga serie tra istituzioni, imprenditori, investitori e analisti che oramai da un anno mettono in guardia dai rischi che le società democratiche corrono per via di queste piattaforme (qui e qui delle sintesi).
Il dibattito negli Usa dopo la paura delle ingerenze russe
Non è un caso che il dibattito sia partito dagli Usa, dove il Congresso da tempo sta cercando di venire a capo a colpi di inchieste e audizioni delle possibili interferenze russe sulla campagna elettorale che ha portato Trump alla Casa Bianca. Google, Facebook e Twitter sono state ascoltate e invitate a portare prove, e attuare possibili contromisure. Da lì il dibattito si è spostato anche in Europa, anche in Italia. E si sta sviluppando su due direttrici di massima.
Le due questioni più urgenti: smartphone e social
La prima riguarda i device in sé. Il loro utilizzo rende infelici le nuove generazioni, ha sancito senza appello una ricerca dell’università del Michigan, e gli adolescenti che hanno internet sono solo un po’ più felici di chi internet non ce l’ha affatto. La ricerca, pubblicata lunedì, arriva qualche settimana dopo l'allarme lanciato da alcuni azionisti di Apple che chiedevano all'azienda di fare qualcosa per evitare gli effetti sulla salute mentale dei più giovani, allarme confermato da uno dei creatori del melafonino che ha parlato di cellulari come "macchine dai click di pseudo piacere".
La seconda invece riguarda i social network, e la loro diffusione. Facebook è usato da 2 miliardi di persone nel mondo, e da metà della popolazione italiana (30 milioni). Creano dipendenza, il che è abbastanza vero, ma sono anche strumenti dove qualsiasi menzogna, se è in grado di muovere rabbia, indignazione, è in grado di diventare tanto diffusa da non essere più controllabile, né smentibile.
Le contromosse di Facebook
Facebook ha ben compreso che l’aria è cambiata. L’annuncio del 12 gennaio scorso di Mark Zuckerberg di voler rivedere il proprio algoritmo in maniera tale da far visualizzare meno post provenienti da media e più post di amici e parenti è proprio una risposta a questo cambio di clima verso il suo prodotto.
Zuckerberg non ha paura solo di una possibile ‘etichetta’ “nuoce gravemente alla salute”, come vorrebbe il capo di Saleforce, ma più probabilmente teme che nonostante gli sviluppatori facciano di tutto per renderci il suo social sempre più indispensabile, Facebook cominci a diventare un luogo dove vomitare rabbia e basta. Di divisioni, liti. Un luogo in cui insomma non sia più bello stare.
“C’è stato un tempo in cui eravamo felici di usare Facebook”, ha scritto sull’ultimo numero di Vanity Faire Nick Bilton, tra le penne più autorevoli quando si tratta delle dinamiche di Internet. “Io lo amavo. Era divertente connettersi con i vecchi amici, condividere con loro immagini dalle vacanze, i video in cui si scherzava senza problemi a mostrarsi. Ma adesso Facebook ha cominciato a divertire solo Wall Street, e l’unico modo di sfamare quella bestia è fare in modo che guadagnino sempre di più, di più, di più: più click, più tempo speso sul sito, più like, più persone, più connessioni, più pubblicità iper personalizzate”.
"C'è stato un tempo in cui"
Tradotto, tutto questo vuol dire più soldi. Facebook è un servizio che riguarda tutti, dove a volte si decidono i futuri degli stati, dei governi, ma quando cambia lo fa soprattutto per fare in modo che gli shareholder siano contenti. Anche le discussioni, gli hate speech (discorsi d’odio) servono a tenerci sulla piattaforma. Ancora, più tempo, più commenti, più like, più pubblicità su misura. Profilati via smartphone e tablet, l’altro grande problema, dai quali si riesce sempre meno a togliere lo sguardo.
Sì, c’è qualcosa che non va con tutto questo. E rimettere le cose a posto dopo averle rotte è sempre un compito difficilissimo. Forse impossibile.