Viviamo nell’era in cui tweet, dirette Facebook e post su Instagram animano il confronto politico e, sempre più spesso - in Italia e all’esterno - vengono ripresi da giornali e TV, oltre ad essere commentati, anche offline, dall’opinione pubblica.
Di solito, però, si pensa che nel mondo della comunicazione politica ai tempi dei social sia tutto consentito: dileggiare gli avversari (con toni che possono superare il limite dell’insulto), diffondere fake news, anticipare decisioni e giudizi che – in realtà – spetterebbero alle strutture amministrative competenti.
La sensazione è che sia tutto permesso e che – tranne i casi di diffamazione accertata (rari, in quanto spesso coperti dall’immunità per le opinioni espresse nell’esercizio delle proprie funzioni) – i politici che usano i social in questo modo non possano essere legalmente perseguiti.
E invece, non è così. Una recente sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria (la n. 11 del 2019) ha affermato il principio per cui – se il politico è un Ministro, un Presidente di Regione, un Sindaco o un assessore – i suoi tweet possono avere una rilevanza amministrativa e quindi esporre l’ente a responsabilità e a risarcimento danni (che, quindi, finirebbero col pagare tutti i cittadini).
Andiamo con ordine, però. I fatti oggetto della sentenza fanno riferimento alla richiesta di risarcimento danni del Comune di La Spezia nei confronti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali a causa della decisione di quest’ultimo di sospendere i lavori nell’area di una delle piazze più importanti della città ligure (Piazza Verdi).
La richiesta di sospensione dei lavori, richiesta anche da alcune associazioni ambientaliste, era stata anticipata da un tweet postato il 15 giugno 2013 dall’account personale dell’allora Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Massimo Bray.
Al Comune di #LaSpezia sarà chiesto di sospendere l'avvio dei lavori in #PiazzaVerdi perché il progetto sia verificato dal @Mi_Bac
— Massimo Bray (@massimobray) 15 giugno 2013
Il Comune di La Spezia, nel proprio ricorso, non solo aveva puntualmente elencato le ragioni per cui la decisione sarebbe stata scorretta, ma aveva lamentato anche che le dichiarazioni via tweet del Ministro avrebbero rappresentato “un’inammissibile usurpazione di funzioni amministrative” di esclusiva competenza dei dirigenti del Ministero.
Il Tribunale amministrativo prima e il Consiglio di Stato poi avevano dato ragione al Comune affermando che, nonostante il tweet non possa essere considerato come un vero e proprio atto amministrativo, il “cinguettio” rappresentava “sicura spia dell’eccesso di potere”, nel senso che gli organi decentrati del Ministero si sarebbero decisi a sospendere i lavori – in contrasto con quanto avevano precedentemente affermato – non già sulla base di una approfondita valutazione degli elementi relativi alla vicenda, ma “al fine di assecondare gli impegni ormai pubblicamente assunti dal Ministro”.
“Un tweet non è un atto amministrativo” e, di conseguenza, non può essere impugnato direttamente davanti al Giudice Amministrativo, ma il post sui social può determinare l’illegittimità degli atti dell’amministrazione.
Ed è per questo che il Comune di La Spezia ha chiesto e ottenuto dal Tribunale amministrativo per la Liguria la condanna del Ministero per i beni e le attività culturali al pagamento della somma di 73.000 euro per l’illegittima sospensione dei lavori (causata dal tweet del Ministro). Infatti, i provvedimenti giudizialmente annullati hanno causato un rallentamento dei lavori per la realizzazione del progetto, con il conseguente obbligo per il Comune di risarcire – a sua volta - i danni alla ditta esecutrice.
Quella del TAR Liguria è una sentenza molto importante perché ribadisce che i social non sono il far west e che un post può essere sintomo della scorrettezza del comportamento dell’amministrazione. Questo vale anche, forse soprattutto, per i post dei profili personali dei politici che – molto spesso – sono preparati da social media manager e staff che non hanno conoscenza della macchina burocratica (e del diritto amministrativo) e che non sempre consultano preventivamente gli uffici competenti per i singoli procedimenti.
I social, si sa, richiedono risposte veloci che non sempre le strutture burocratiche sono in condizione di assicurare: amministrare, infatti, è lavoro assai complesso che richiede competenze, studio e riflessione.
La fretta di dover postare per inseguire i temi di tendenza o le sollecitazioni degli altri utenti può quindi rappresentare un rischio, non solo reputazionale per il politico, ma anche giuridico per l’amministrazione che può vedere annullati i propri atti e ed essere condannata a pagare un risarcimento del danno.
Per non parlare della vanità del politico che spinge il politico a prendere posizione con il proprio profilo e non con quello dell’ente rappresentato. Infatti, a leggere attentamente le sentenze relative al “caso La Spezia”, sembra che non ci sarebbe stato alcun risarcimento se lo stesso tweet, invece di essere postato dall’account del Ministro, fosse stato effettuato da quello del Ministero.
È una sentenza che i politici e i loro staff dovrebbero tenere in grande considerazione per il futuro perché fornisce alcuni insegnamenti preziosi per tutti.
Chissà magari, quando non si è certi, potrebbe essere preferibile evitare il post oppure virare su temi decisamente meno delicati come il menu del pranzo o il vincitore del Festival di Sanremo.