Questa mattina, mi son svegliato, è ho pensato: “Come è possibile che io non abbia mai visto la pagina Facebook di Boris Johnson?”. Sì, la mente di chi si è occupato per anni di social non funziona benissimo. Ma i dubbi di questo tipo sono assai frequenti. E la curiosità si è fatta subito impellente e capricciosa. Quante dirette live farà? Chi metterà alla gogna? Quali messaggi comunicherà alla sua platea? Quanti kisses (o bacioni) manderà? Insomma, mi aspettavo una gestione simile a quella degli altri sovrasti italiani ed europei. E invece sono rimasto piacevolmente sorpreso.
Una gestione impeccabile
Ok, ero prevenuto. Ma il passato di Boris Johnson non depone certamente a suo favore. Non mi riferisco certamente al suo programma politico (quello lo lascio agli analisti) ma alle sue esagerazioni, alle sue gaffe, al suo stile comunicativo offline fatto di urla, slogan. Quegli atteggiamenti che gli inglesi chiamano spesso “hyperboles”. E invece online, almeno su Facebook, a parlare sembra essere il suo gemello.
Non fraintendetemi. Le caratteristiche del personaggio sono le stesse: combattività e capacità di trascinare il suo elettorato, carisma innato. È lo stile a mutare radicalmente. Non ci sono le esagerazioni che ne hanno delineato il ritratto a cui i media ci hanno abituati. Su Facebook, per dirla in maniera più elegante, non sembra seguire quel mantra coniato da Oscar Wilde, “niente ottiene successo come l’eccesso”, che la politica sembra aver plasmato su se stessa negli ultimi anni. Anche grazie alle opportunità messe a disposizione dalle piattaforme web più note.
Il pacatissimo “BoJo” online tiene tantissimo al messaggio. Ogni video, quasi sempre sottotitolato, come a non voler far perdere neanche una parola, è curatissimo. Serve a mostrare quanto e dove il primo ministro inglese si muove, anche indossando divise (da panettiere a operaio), parla con la gente, sta dove c’è bisogno di lui, raccoglie consenso. Le immagini sono tutte chiare, pulite, luminose. Da solo o in mezzo alla gente, ma anche in quest’ultimo caso la sua centralità è indiscussa. Assolutamente non sono scatti improvvisati, non amatoriali. I gesti, marcati e netti, sono quelli di un comandante che spinge i suoi a conquistare qualcosa di irrinunciabile. Una sorta di Braveheart dal biondo capello. Immortalato, però, con la giusta inquadratura.
Il disprezzo totale del politicamente corretto e gli exploit inopportuni del nuovo primo ministro britannico hanno dato un forte contributo alla sua popolarità. Gli inizi di BoJo
Anche durante gli #AskBoris, le dirette più raffazzonate con il suo elettorato, il tono rimane deciso ma sobrio. Al centro c’è, anche qui, solo Boris. Il ritorno di Boris (BackBoris). Il futuro dell’Inghilterra guidato da Boris. La sua non è un’interazione a senso unico ma un canale aperto dove risponde alle domande, sicuramente selezionate, di chi lo segue. Un po' come il Matteo risponde di Renzi ma con un'efficacia molto maggiore. E forse la grande differenza con Trump, Salvini e gli altri politici che amano raccontarsi e raccontare su Facebook sta proprio in questo: Johnson sembra ascoltare il suo team, delegando la comunicazione online, per impegnarsi su quella fatta sul territorio o ai comizi.
La sua pagina è controllata ufficialmente da tre profili (ma la squadra potrebbe essere più larga) che hanno speso negli ultimi 10 mesi appena 14 mila sterline in advertising. Una cifra contenuta che ha avuto un'impennta, come è normale che sia, durante gli ultimi giorni di campagna elettorale. I like totali sono poco meno di 600 mila, pochi se consideriamo i 3,7 milioni di Salvini, i 2,2 di Di Maio, l’1,5 di Marine Le Pen. Numeri che ora sono certamente destinati a salire, visto il trasferimento a Downing Street, ma che, con questo tipo di narrazione, più sobria e controllata, non raggiungeranno quelli dei suoi colleghi europei.
"Uno di voi"
Questa comunicazione non crea distanza. Johnson mostra di essere “un uomo come noi”, passatemi questa orribile locuzione moderna, attraverso le sue azioni. Bacia i cuccioli, stringe mani, si fa immortalare tra la gente. Ma questa è una parte, neanche tanto frequente, della sua comunicazione. C’è e ci deve essere, obviously, ma non è il fulcro su cui si ruota la sua interazione con gli elettori. È un tocco di colore in una tela che ha altre tinte.
Prima Boris, poi i nemici
A differenza di quello che avviene comunemente tra i politici italiani, Boris Johnson raramente butta in pasto ai suoi le notizie di attualità con "nemici" da far inseguire dalla folla composta da troll, seguaci cechi, simpatizzanti dotati di paraorecchi e altre figure mitologiche entrare a far parte del nostro vivere quotidiano digitale. Non ci sono quasi mai condivisioni dai giornali, dai siti, da altri account social (a parte il Telegraph, dove ha ricoperto per anni il ruolo di editorialista). È come se non avesse bisogno di alimentare il “sentiment” le “reactions” del suo pubblico.
Nel profilo di Boris Johnson, a conclusione, c’è propaganda politica. Addirittura azzarderei una “classica” propaganda politica. Niente scorciatoie. C’è il politico che parla, convince, comunica, dialoga, guida. C’è il politico, quello che abbiamo dimenticato, forse. Quello che, per fortuna, vive soprattutto fuori da Facebook.