In West Virginia si è votato con un app basata sulla blockchain. Non tutti i circa 1,2 milioni di aventi diritto al voto, ma solo chi non poteva fisicamente votare nella cabina elettorale perché all’estero. Risultato: 140 persone hanno usato l’app Voatz, la startup a cui è stato affidato il servizio. Un piccolo test che ha riacceso il dibattito negli Usa sull’utilità o meno di usare questo genere di tecnologia per l’evento più importante del processo democratico.
Non deve sembrarci un tema lontano. Lo scorso 11 ottobre il presidente della commissione Affari costituzionale della Camera, Giuseppe Brescia, ha fatto sua una storica bandiera del Movimento 5 stelle impegnando il governo a istituire un tavolo tecnico per la sperimentazione della tecnologia blockchain alle elezioni. L’obiettivo, come ha spiegato Brescia all’Agi, è lavorare ad una soluzione per il voto a distanza. Il voto online. “Lo Stato ha il dovere di proporre soluzioni ai milioni di italiani che non vanno alle urne semplicemente perché lontani dal luogo di residenza”, aveva detto.
Blockchain in breve
Blockchain è il protocollo che è dietro Bitcoin. Il successo della criptovaluta ha decretato quello della tecnologia che la supporta: un registro pubblico, distribuito, dove ogni azione è scritta in una catena, crittografato, non modificabile. Questa caratteristica ha fatto in modo che in molti cominciassero ad ipotizzare una nuova rivoluzione, come quella che ha avuto internet nelle nostre vite, arrivando a pensare che questa tecnologia avrebbe gradualmente soppiantato ogni terza parte: banche, istituzioni, tutto ciò che garantisce l’autenticità di qualcosa, moneta, atti notarili, voto.
L’autenticità avrebbe potuto garantirla un registro distribuito, accessibile a tutti, e da tutti controllabile in qualsiasi momento. Conseguenza? Miliardi investiti in startup blockchain, da quelle che controllano la filiera dei prodotti a quelle che fanno votare, come Voatz, che ha preso 2 milioni da Medici Ventures (curiosità: l’azienda ha detto che sì il voto è stato registrato in automatico su blockchain, ma la correttezza delle operazioni non è data per scontata, un gruppo di persone fisiche controllava che tutto andasse a buon fine e non ci fossero intoppi).
Perché si discute di utilità o meno di blockchain per il voto
Perché l’uso di blockchain fa tanto discutere? Il punto centrale è che la stragrande maggioranza degli esperti di blockchain, in America, ma anche quei pochi che ci sono in Italia, ritiene inutile, se non pericoloso l’uso di questa tecnologia. Se su 140 persone in West Virginia il test è sembrato funzionare, su larga scala i risultati potrebbero essere assai diversi perché al momento non si è sicuri al 100% che il voto online sia un voto al sicuro da attacchi.
E i rischi principali riguardano quindi: sicurezza del voto, segretezza del voto, manipolazione dei risultati. Facile capire che si tratta di qualcosa che mette a rischio i cardini stessi delle democrazie occidentali.
The charlatans pushing for blockchain elections and online voting are doing the equivalent of advocating a healthcare policy that assumes we’re about to cure cancer. Maybe we will, but best not to bet on it. https://t.co/JXQmUy6luq
— matt blaze (@mattblaze) 7 novembre 2018
Matt Blaze, probabilmente il più grande esperto mondiale di voto online, in un tweet a commento del voto in West Virginia parla di ‘ciarlatani’ rivolgendosi a chi promuove l’uso della blockchain per il voto. È un po’ come quelli che vogliono promuovere delle politiche sanitarie presupponendo che curino il cancro, spiega. Ed è così per molti suoi colleghi. Un recente report del Committee on the Future Voting (sezione dell’accademia delle scienze negli Usa) ha messo in guardia le istituzioni dall’applicare soluzioni di questo tipo.
Perché di blockchain se ne parla così tanto?
Ma se è così insicura, perché se ne parla così tanto? Qui la faccenda si fa un po’ più complicata. La tesi più diffusa, a voler sintetizzare il dibattito negli Usa, è che la grande attenzione data alla blockchain è dovuta alle aziende e fondi di investimento che in startup blockchain ci hanno messo miliardi di dollari che starebbero cercando spazio sui media e nel dibattito pubblico per attirare attenzione e aspettative su questa tecnologia (di questo ad esempio è accusato questo editoriale pubblicato dal New York Times, al centro di molte polemiche perché per alcuni è inopportuno, per altri dalle promesse truffaldine). Spazio sui media e nel dibattito pubblico per fare in modo che i loro investimenti comincino a dare dei ritorni.
Angela Walch, professore associato alla St Mary University e ricercatrice in campo blockchain, chiude la questione etichettando il gran parlare che si fa della blockchain come soluzione per il voto come ‘ridicolo’: “Per favore, smettetela di pompare la blockchain come soluzione ad ogni cosa. Usarla per questioni delicate come il voto è da irresponsabili”.