Uno stable coin è letteralmente un coin emesso e scambiato sulla blockchain esattamente come vengono scambiati i bitcoin, gli ether, i moneto eccetera, ma il cui prezzo è, per un qualche meccanismo implementato allo scopo, mantenuto stabile.
La necessità di stabilità per le criptovalute ha delle ragioni ben fondate. Se si analizza il prezzo di quella che è probabilmente la più stabile fra le criptovalute, ovvero il bitcoin, ci si rende conto di quanto questa abbia attraversato delle fasi di crescita quasi esponenziale intervallate da delle repentine cadute di prezzo rispetto al dollaro americano.
Nonostante questa volatilità possiamo considerare bitcoin la più stabile delle cripto perché se andiamo ad analizzare l’andamento delle altre valute diciamo minori queste sono state capaci di performance strabilianti, con guadagni 20x o 100x in un anno e improvvisi crolli degni di uno schema ponzi.
Quindi la volatilità nel breve periodo e il trend positivo nel lungo periodo creano un clima di incertezza che in qualche modo blocca alcune categorie di utenti per i quali le criptovalute rimangono incomprensibili e inutilizzabili. Spesso si sente anche dire che “la blockchain è una gran bella tecnologia, ma bitcoin non funziona" senza accorgersi che la blockchain e il suo coin sono degli elementi inseparabili perché l’algoritmo che fa di una blockchain una “blockchain” richiede degli incentivi economici che solo l’esistenza di un coin nativo può garantire.
Il freno della volatilità sull'uso della blockchain
Per questo moto utenti istituzionali come banche, aziende e pubbliche amministrazioni sono da un lato attratte dall’idea ma dall’altro vorrebbero un qualche tipo di certezza sul prezzo e sulla legalità delle operazioni.
Quali sono dunque le alternative che hanno a disposizione questi operatori istituzionali e i governi di fronte al fenomeno criptovalute? Naturalmente la prima opzione è quella di ignorarle ma è poco plausibile che questo succeda. La seconda è quella di tassarle, e questo invece è molto più probabile, un po’ come disse Faraday ai politici del suo tempo riguardo l’elettricità: “posso garantire che un giorno la tasserete”.
Una terza opzione è che gli stati nazionali emettano le loro criptovalute, e anche questo è già accaduto, ad esempio il Venezuela per far fronte ad una super inflazione che lo stesso Maduro ha consapevolmente attuato, ha emesso una criptomoneta chiamata Petro, che dovrebbe essere appunto legata al petrolio che il Venezuela possiede in abbondanza. A parte questo esperimento venezuelano, che pare non abbia ottenuto un grande successo, l’emissione di una criptovaluta di stato suona come una contraddizione in termini, ma chissà, in quest’epoca di antagonismo tra gli stati contro le banche centrali sovranazionali possiamo aspettarci di tutto.
Il ruolo di una cripto stabile
In questo vuoto tra tecnologia e istituzioni si inseriscono le criptovalute stabili create da privati. Ci sono diversi modi per implementare uno stable coin. Il modo più lineare è quello di emetterlo a fronte di un collaterale che può essere riscattato in qualunque momento dai detentori del coin. Ma anche in questo caso ci possono essere molte differenze nel modo in cui il collaterale viene creato e gestito. Uno stable coin potrebbe avere come collaterale una commodity, ad esempio l’oro.
Quindi attraverso un sistema di attestazione legale, certificato e che abbia le caratteristiche di titolo esecutivo, il possessore di un coin può in qualunque momento riscattare la quantità d’oro rappresentata dai suoi coin. In altre parole una reintroduzione del gold standard ma in una moneta privata e scambiata sulla blockchain.
Un secondo tipo di stable coin è quello che ha come collaterale una moneta statale. Valgono tutte le considerazioni già fatte per il caso precedente. Bisogna poter garantire in qualunque momento che uno stable coin possa essere scambiato con la sua equivalente quantità di moneta nazionale al pari di un assegno o di una cambiale. In questa categoria ricade il famoso e molto discusso Tether USDT, una criptovaluta scambiata su blockchain che garantisce un cambio 1:1 con il dollaro americano. Le polemiche intorno a questa moneta sono dovute alla poca chiarezza della sua gestione, almeno a detta dei suoi detrattori, e all’incertezza sull’esistenza effettiva di un collaterale in dollari equivalente al circolante in blockchain pari a oltre due miliardi di USDT.
In modo simile stanno nascendo altre monete legate alla moneta fiat come TrueUSD, Gemini dollar e il nuovissimo e franco svizzero tokenizzato (CHFt) appena annunciato da Smart Valor, che a differenza del Tether “vendono” una maggior trasparenza delle operazioni e certificazioni bancarie di maggior reputazione. Tuttavia, oltre il 90% delle transazioni nel mondo degli stable coin ad oggi resta nel circuito del Tether.
Le categorie di stable coin
Infine le altre due categorie di stable coin sono quelle basate su collaterale in altre criptovalute e quelle basate sul signoraggio. In entrambi i casi la stabilità viene ottenuta tramite degli smart contract. Negli stable coin con collaterale in cripto, abbiamo due tipi di sottoscrittori, quelli che cedono rischi (e opportunità di guadagno) della criptovaluta volatile che possiedono (ad esempio ether) e quelli che invece vogliono speculare proprio sulla volatilità di quest’ultima.
I primi di fatto vendono i rischi ai secondi accontentandosi in cambio di un coin di valore stabile. Il tutto funziona grazie ad un prodotto derivato codificato in forma di smart contract ed eseguito direttamente in blockchain. Infine i Seigniorage Coin in cui sempre degli smart contract emettono bond e coin mimando quello che farebbe una banca centrale. Un esempio di questa categoria di coin è https://www.basis.io/
Le applicazioni pratiche degli stable coin sono tante. Prima di tutto potrebbero essere un sistema di pagamento in competizione con gli attuali bonifici, più efficiente e più sicuro delle transazioni basate sul circuito bancario la cui ultima linea di difesa per quanto riguarda la sicurezza non è la crittografia ma la garanzia che riponiamo nel sistema e i costi assicurativi nascosti che servono a coprire frodi e perdite nei circuiti di pagamento.
Il secondo vantaggio di uno stable coin rispetto alla moneta fiat è la programmabilità. La rete Ethereum ha permesso di sviluppare un enorme ecosistema intorno al concetto di Dapp (applicazione decentralizzata) e smart contract che coglie il senso di “denaro programmabile”.
Uno stable coin che dovesse avere caratteristiche di compliance (ovvero rispetto di vincoli legali posti dalla giurisdizione di riferimento) e la capacità di operare come una criptovaluta (transazioni trasparenti in una blockchain non censurabile) programmabile (esecuzione di smart contract) potrebbe venir accettata e utilizzata in ambiti come quello della pubblica amministrazione per automatizzare flussi di cassa per finanziamenti alla ricerca, sussidi alle aree svantaggiate, aiuti in caso di emergenze umanitarie e molto altro.
Naturalmente tra il dire e il fare c’è di mezzo “il diavolo”. La necessità di fiducia è una cosa che si può rimuovere da una parte ma che poi ricompare da qualche altra, specialmente in un sistema ibrido dove una stable coin “autorizzata” molto probabilmente non godrebbe della resistenza alla censura che invece è una delle caratteristiche principali delle criptovalute come bitcoin, ether, monero eccetera.