Li hanno paragonati ai papaveri (alla bolla del XVII secolo), all’oro, alla bolla dotcom o a un bene rifugio. Ognuno ha detto la sua su Bitcoin, cercando di dare uno straccio di senso all'andamento del suo prezzo e alla follia collettiva che sembrava coinvolgere tutti fino a qualche settimana fa. Ma dare un senso alle cose in base alle nostre esperienze per spiegare qualcosa di apparentemente inspiegabile è nella natura umana. Biasimarla è inutile.
C'è un aneddoto però nei manuali di teoria economica che sembra calzare bene al comportamento delle cripto. Non tanto come definizione, quanto come spiegazione di un meccanismo psicologico che ha visto il prezzo di Bitcoin schizzare fino a 20 mila dollari di dicembre scorso per poi crollare agli 8 mila di questi giorni. Si chiama paradosso di Giffen e il primo ad utilizzarlo per spiegare Bitcoin è stato l’analista finanziario Peter Tchir su Forbes. Ma su Reddit è facile avere una panorama completa di tutte le volte che è stato citato questo paradosso a proposito della criptovaluta.
Cos'è un bene di Giffen
Vengono definiti “Beni di Giffen” quei beni che quando aumentano di prezzo causano ‘paradossalmente’ un aumento della loro domanda. Si parla di paradosso perché contraddice la tradizionale legge della domanda e dell’offerta formulata da Albert Marshall, dove si dice che se il bene di un prezzo aumenta, ma il reddito delle persone no, si dovrebbe avere una diminuzione della richiesta: costa di più, ne compro di meno perché non posso permettermelo.
Robert Giffen, matematico scozzese del XIX secolo, elaborò questa teoria per rispondere ad un fenomeno apparentemente unico nella storia dell’economia. Riguarda la vendita delle patate in Irlanda: il loro prezzo cominciò ad aumentare per via di una carestia, ma all'aumentare del prezzo cominciò ad aumentare anche la domanda. La gente piuttosto che cominciare a virare verso cibi più nutrienti, anche quando meno cari, continuavano a chiedere patate in maniera inspiegabile. Scrive l’enciclopedia Treccani: “(Giffen) osservò il fenomeno analizzando il consumo di patate in Irlanda.
Le patate rappresentavano un cibo povero, poco nutritivo, ma costituivano gran parte della dieta delle famiglie irlandesi, che non potevano permettersi cibi più ricchi: una variazione del loro prezzo, allora, aveva un forte impatto sul potere d’acquisto, ossia sul reddito reale, di queste famiglie. Una diminuzione del prezzo, per esempio, aumentava di fatto le risorse reali delle famiglie, che preferivano di conseguenza ridurre il consumo di patate a favore di cibi più nutritivi”.
Cosa c’entra Bitcoin con le patate irlandesi? Il punto è che il paradosso di Giiffen contempla anche la via negativa, come si legge nell'ultima parte della voce dell'enciclopedia: diminuisce il prezzo di un bene, diminuisce la propensione ad acquistarne, diminuisce l’interesse e si sgonfia. Segue uno schema preciso che lega prezzo/acquisto/interesse che oggi viene usato da molti per spiegare l'andamento di Bitcoin negli ultimi sei mesi.
Bitcoin, la speculazione, l'interesse e i media
Molti obietteranno che Bitcoin non è un bene essenziale come il pane (o le patate). È vero, ma non è questo il punto. Il prezzo di Bitcoin è cresciuto enormemente insieme alla voglia di averne e all’interesse che suscitava. In questo i media hanno avuto un ruolo determinante. E poi è crollato, insieme alla voglia di averne e all’interesse suscitato.
Un esempio? In un post su Facebook di qualche settimana fa, Antonio Simeone, amministratore delegato di una società di algo-trading in criptovalute (Euklid) e voce autorevole tra i bitcoiner italiani, notava che prezzo e interesse (mediatico e dei lettori) verso i bitcoin avevano una relazione diretta. Commentando l’ultimo crollo di Bitcoin scriveva: “Lo vedo anche dai numeri di lettori su Bitcoin. Dopo il crollo del preso sono letteralmente crollati”. Simeone aveva ragione. Chi lavora dietro le quinte di un sito (come chi scrive) si è accorto che l’interesse verso Bitcoin è scemato rapidamente dopo il primo crollo tra la fine del 2017 e l’inizio del nuovo anno.
Tra lo scorso maggio e dicembre si scriveva quasi quotidianamente di Bitcoin, perché era un tema assai popolare. Ogni articolo riusciva a raggiungere centinaia di migliaia di persone in poche ore. I lettori volevano capire come funzionava, se potevano farci bei soldi, come, in che modo acquistarne, quali sono le piattaforme più sicure. A dicembre Agi pubblicò un articolo su cosa volesse dire avere bitcoin, un esperimento durato qualche settimana. L’articolo diventò virale e tutt’ora arrivano mail di persone che chiedono come comprare o rivendere criptovalute.
Il crollo di Bitcoin, il fallimento delle Ico
Tornando al paradosso di Giffen, quando gli speculatori (non immaginatevi Di Caprio in Wolf of Wall Street, siamo tutti speculatori, anche chi ha comprato Bitcoin per qualche centinaio di euro hanno cercato di fare una piccola speculazione sul prezzo) hanno creduto che comprare cripto fosse un buon affare e che anche altri lo avranno fatto dopo di loro, attribuendosi il merito di essersi mossi prima degli altri nel meccanismo speculativo, il prezzo è schizzato. Poi qualcosa si è rotto. Il meccanismo si è inceppato.
Bitcoin ha cominciato a perdere valore. Ha dimostrato di non essere un meccanismo perfetto. Che i suoi guru, quelli che dicevano che tutto sarebbe andato bene, che le cripto avrebbero spazzato via la finanza, le banche, il sistema, forse non avevano fatto i conti con la complessità del mondo, e con quella della psicologia umana e dei comportamenti che induce.
Non morirà magari, ma non è necessario morire per tradire una promessa rivoluzione. Non è servito nemmeno una regolamentazione, nemmeno un intervento difensivo da parte delle istituzioni. Non c'è stata né per Bitcoin (nonostante mille discussioni in merito) né per le Ico, la nuova finanza, il nuovo vestito dei finanziamenti in innovazione. Il primo ha perso la metà del suo valore in un mese, le seconde secondo alcuni dati pubblicati su Coindesk si suscitano meno interesse, e qualche dubbio.
Il mondo è più complesso di un algoritmo, e più leggero di un sacco di patate.