La sostenibilità e l’economia circolare contrapposte al vecchio modello di economia lineare: nel settore moda se ne parla molto, tanto che le aziende stanno adottando la logica del riutilizzo, in linea con le nuove esigenze dei consumatori sempre più attenti alla salvaguardia delle risorse naturali. L’ultima forte tendenza sembra essere dunque “l’upcycling”. Ma cosa è esattamente e perché è un’ottima chance?
Che la moda stia attraversando un periodo di transizione, che stia lentamente cambiando per acquisire nuovi paradigmi, in accordo con i mutamenti delle abitudini e della sensibilità delle nuove giovani generazioni di consumatori (millennial + Gen Z) è innegabile, ma la pandemia coronavirus ha imposto un’accelerazione verso una direzione precisa.
I sondaggi hanno rilevato che durante la pandemia, il 28% delle persone ha riciclato gli abiti e le statistiche hanno evidenziato, complice il lungo lockdown, un’impennata negli acquisti on-line.
Di questi fenomeni noi addetti ai lavori siamo ben consapevoli e, per quanto rivoluzionare e rivedere l’intero sistema moda ci spaventi e ci crei molte incertezze e difficoltà, abbiamo dato vita a numerose iniziative lungo tutta la filiera; fermare il mutamento è, insomma, impossibile. il White 2020, salone della moda che si svolge a Milano, dedicato alle collezioni di nicchia ed emergenti, si è appena concluso e si è fatto sempre più, portavoce del nuovo “sentire”.
La fiera, importante vetrina della moda contemporanea per designer e stilisti emergenti, quest’anno ha rappresentato, anche una coraggiosa reazione del sistema moda alle grandi difficoltà causate dalla pandemia.
Il White infatti, si è svolto in presenza, proponendo molte nuove iniziative: un’innovativa piattaforma digitale White B2B Marketplace, che grazie alle attività digitali dei marchi ha permesso di raggiungere oltre 5.000 compratori certificati online con 95.000 visualizzazioni, ma soprattutto una nuova sezione, il Wsm fashion reboot, che ha offerto ai visitatori un ricco calendario di talk e un percorso virtuale della mostra “Sustainable thinking” del museo Salvatore Ferragamo a Firenze.
White Milano ha fortemente promosso i nuovi approcci e i processi virtuosi che alcune aziende emergenti stanno mettendo in atto: riuso, riciclo, risparmio di risorse e tessuti eco-compatibili. Focalizzando l’attenzione sui processi creativi che cercano di recuperare i materiali provenienti da prodotti post-consumo, stock di magazzino e scarti di produzione per trasformarli in qualcosa di molto desiderabile, qualcosa che valga assai di più del bene riciclato: l’upcycling cioè il recupero creativo di materiali di qualsiasi tipo, di tessuti o di capi provenienti da rimanenze e stock che può diventare punto di partenza per prodotti diversi e nuove creazioni.
Molti i marchi emergenti presenti alla fiera che, con variegate proposte, hanno voluto sostenere con le loro collezioni, il nuovo modello produttivo di economia circolare, che va a contrapporsi al vecchio di economia lineare. L’upcycling, ricordiamo, si differenzia dal riciclo o del downcycling (riutilizzo di qualcosa così come è o trasformazione dei prodotti di scarto in materiali e prodotti di valore inferiore all’interno dello stesso settore o per essere utilizzati in settori diversi così da posticipare il fine vita del prodotto.) perché con questo termine si intende una pratica che trasforma il prodotto a fine vita in un altro.
La caratteristica principale dell’upcycling è che i nuovi prodotti avranno una qualità o un valore uguali o migliori di quelli originali. Nella moda, per esempio, articoli di abbigliamento o scarti tessili esistenti possono essere trasformati in nuovi prodotti, dando vita a un nuovo ciclo di vita. Questo processo inizia dalla fase di progettazione.
Il fashion designer infatti elabora e riadatta vecchi capi o comunque materiali di scarto conferendo un valore aggiunto al nuovo capo, trasformandolo in qualcosa di diverso, più prezioso e con un alto grado di creatività . Il White, ovviamente, non è un fenomeno isolato: ricordiamo Diesel, con il nuovo progetto, che mette al centro della creatività l’upcycling per realizzare collezioni, che usciranno ogni sei mesi, realizzate da capi invenduti e riassemblati in nuovi capi, progettati da designer e artisti; Cos marchio di proprietà della svedese H&M, che sta sperimentando il riciclo, attraverso la piattaforma Resell, un nuovo tipo di commercio che consente alla community del brand di vendere i propri capi usati e di acquistarne di nuovi.
La piattaforma ha debuttato all’inizio di settembre nel Regno Unito e in Germania e sarà attiva a livello globale entro la fine dell’anno; Zalando (sede a Berlino, 34 milioni di clienti), la più potente tra le società di e-commerce in Europa, che ha messo in campo una piattaforma specifica nel tentativo di assumere il controllo del resale, al momento assai frammentato, del continente.
Gli indumenti raccolti, sistemati e fotografati vengono venduti per ora in Germania e Spagna, ma raggiungeranno altri quattro paesi entro la fine di ottobre. Tra gli stilisti emergenti, spicca la guru dell'upcycling, Nicole McLaughlin, le cui creazioni, tutte in materiali riciclati sembrano quasi più forme d’arte che prodotti commerciali.
Nicole, maestra della decostruzione, grazie ad una collaborazione con Reebok ha lanciato lo scorso anno una propria collezione, una capsule esclusiva, di pochi pezzi tutti realizzati a mano, con i vecchi e i nuovi prodotti del marchio sportivo e venduta in esclusiva nel negozio di NYC.
Il fast fashion e comunque il fashion genera una montagna di vestiti buttati via ogni anno e ha un enorme impatto sull'ambiente e si stima che a livello globale, ogni anno vengono creati circa 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. Entro il 2030, si prevede che scarteremo più di 134 milioni di tonnellate di tessuti all' anno. Gran parte del problema dipende dai materiali utilizzati per fare i vestiti, fibre non riciclabili, non biodegradabili e dalle fibre quasi sempre utilizzate in mischia e quindi difficili da riciclare e trasformare in nuove fibre e, soprattutto dalla loro scarsa qualità che ne permette un utilizzo assai limitato nel tempo.
Il modello tradizionale "prendere, produrre, scartare", che non presta attenzione ai materiali giunti a fine vita, deve essere modificato per valorizzare lo scarto e farlo diventare risorsa.
Per rendere il nostro abbigliamento sostenibile infatti, sarà necessario modificare l’intero sistema produttivo: tessuti, fibre e capi di abbigliamento dovranno essere progettati in modo da rendere più facile il recuperare e il riciclare. Il fashion designer deve progettare capi belli e durevoli, ma anche che rispettino caratteristiche idonee al riciclo; deve trasformarsi in eco-designer.
Insomma parlando di trasformazione bisogna ricordare che la parola moda deriva dal latino modus “modo, foggia, maniera”, e sta ad indicare una regola a cui ci si attiene, che varia col mutare del gusto e che si impone specialmente nel modo di vestirsi, acconciarsi, ma anche nel modo di comportarsi in società. Fenomeno sociale che consiste nell’affermarsi, in un determinato momento storico e in una data area geografica e culturale, di modelli estetici e comportamentali.