Ci giungono, sempre più spesso, dalla stampa di settore, i numeri che segnalano l’ammontare dei rifiuti tessili che ogni anno finiscono in discarica per essere inceneriti: 12 milioni di indumenti con emissioni di Co2 molto rilevanti. Dal 1960 al 2015 c’è stato un record di rifiuti tessili con un aumento stimato dell’811%. Solo nel 2015 sono finiti in discarica 1.630 tonnellate di vestiti. Da sottolineare che buona parte di questi rifiuti tessili sono abiti ed accessori finiti in discarica “pre-consumo” cioè mai utilizzati “invenduti”.
Ogni anno, i capi prodotti sono circa 150 mila milioni cioè circa 62 milioni di tonnellate di abbigliamento e accessori. Di questi, il 30% si riferisce a prodotti low cost, mentre un altro 30% non viene mai venduto. Da sottolineare inoltre che il 50% degli abiti realizzati a basso costo finisce nella spazzatura dopo solo un anno di utilizzo. La sola H&M è stata accusata nel 2017, da un programma televisivo danese, di bruciare circa 12 tonnellate di vestiti l’anno.
I numeri sono tali che, leggendoli, si rimane attoniti e sopraffatti da un senso di impotenza al quale dovremmo piuttosto reagire ricordando che il consumatore è parte attiva di quella filiera che inizia dalle materie prime e termina con l’acquisto del capo; che può e deve acquistare facendo scelte più responsabili, contribuendo così modo attivo ad invertire la rotta.
Occorre fare un passo indietro e tornare ai tempi in cui, quando si decideva di acquistare un capo, perché necessario o bello, lo si faceva con l’approccio di chi si appresta a fare un piccolo investimento, pensando quindi alla sua qualità, alla sua durata e riuscita nel tempo e magari anche al suo grado di comfort. Un tale radicale cambiamento di paradigmi non potrà che avvenire in tempi molto lunghi e solo attraverso una presa di coscienza ed rieducazione dei consumatori di ogni classe sociale.
Non è facile e certamente non potrà avvenire tempi brevi. Così nel mentre si moltiplicano le proposte di riuso e riciclo, le nuove tecnologie vengono utilizzate per “limitare i danni” e cercare di diminuire almeno lo spreco tessile e tranquillizzare, al tempo stesso, le coscienze.
Tante sono le iniziative da parte di brand più noti e di aziende del fast fashion per promuovere il concetto di riciclo e riuso e ridurre l’impatto ambientale sul pianeta. Tra le più note e consolidate vi sono quelle di H&M (ritiro e riciclo usato), di Intimissimi, di Zara e di OVS. Certo tali iniziative dovrebbero poi essere supportate da comportamenti più coerenti e congrui anche in merito alle sovrapproduzioni con un reale dimensionamento che non renda poi necessario lo smaltimento degli invenduti.
La sostenibilità, l'economia circolare e il riciclo stanno influenzando fortemente il mercato della moda. Numeri alla mano, infatti, il mercato del second-hand è sempre più forte anche in Italia, pur se i Paesi più interessati sono Stati Uniti, Germania e Regno Unito.
App e siti online offrono abiti anche di lusso a noleggio come per esempio, fra gli altri, in Italia, Drexcode, che noleggia capi firmati offrendo la possibilità di provarli a casa prima di decidere l’acquisto o DessYoucan o la piattaforma francese Vinted. Si tratta dunque di un business in decisa espansione proprio grazie alla crescente consapevolezza che per diventare sostenibile una produzione deve prevedere il riciclo.
L'affitto dei capi di moda è un mercato che dovrebbe raggiungere un valore di 1,96 miliardi di dollari entro il 2023. Ce lo conferma l’iniziativa di Selfridges, grande magazzino londinese di lusso che da Febbraio e per sei mesi dà l’opportunità ai suoi clienti di noleggiare abiti per un periodo di 7 giorni. Selfridges infatti ospiterà per un periodo di sei mesi Hurr, la piattaforma di noleggio del guardaroba peer-to-peer, vincitrice del premio London luxury Think Tank sustainable startup.
Tale iniziativa si presenta come una rivoluzione per il mercato retail che, sicuramente, avrà un seguito presso altri grandi magazzini. Lo scorso ottobre anche H&M ha lanciato il suo primo servizio di noleggio di abbigliamento presso il nuovo negozio Sergels Torgels Torg di Stoccolma, in Svezia.
Con il fashion renting non solo tutti possono indossare capi d’alta moda e sempre diversi per ogni occasione, ma si fanno anche scelte sostenibili.
Anche la tecnologia sta cercando di offrire soluzioni innovative per risolvere il problema delle sovrapproduzioni e del conseguente smaltimento dei rifiuti prospettando soluzioni per creare prodotti su ordinazione e produzioni su misura, aumentando la personalizzazione in modo da annullare o ridurre fortemente le rimanenze. La produzione su richiesta su vasta scala sembrerebbe davvero la soluzione. Potrebbe, infatti, ridurre la sovrapproduzione fornendo al contempo la personalizzazione, guidata da un apposito software, a prezzi accessibili ai clienti.
L’adozione e l’utilizzo diffuso di queste tecnologie sembra però essere ancora lontana.