Il colore ci dà emozione, trasmette messaggi, assume valore simbolico: diciamo “giornata grigia”, “principe azzurro”, “fata turchina”, “verde speranza “ e il rosso è il colore dell’amore, il nero del lutto..ecc.
E’ proprio il colore spesso ad attirare la nostra attenzione su una nuova maglietta o su un nuovo accessorio, è ancora il colore, veicolo di nuovi trend, a distinguere il nuovo capo, quello della nuova stagione dai prodotti delle stagioni precedenti. Il colore infine, venutoci a noia, talvolta ci spinge a gettare nel cassonetto gli abiti delle stagioni precedenti.
Per altro verso, i capi che indossiamo quotidianamente, anche i più semplici come la nostra maglietta, il jeans hanno un grande impatto ambientale (enormi consumi idrici ed elettrici, utilizzo di moltissimi prodotti chimici in tutte le fasi di produzione).
Vorrei soffermarmi su uno dei tanti processi di lavorazione all’interno della filiera tessile, quello della colorazione dei tessili.
Per produrre i 400 miliardi di metri quadrati di tessuto venduti ogni anno nel mondo, il settore tessile utilizza nove trillioni di litri d’acqua, di cui sei per il solo processo di colorazione, e impiega complessivamente oltre 8000 sostanze chimiche: saponi e sbiancanti per i pre-trattamenti, agenti fissanti, metalli pesanti e plastificanti per la colorazione e la stampa.
Cosa è il colore, come avviene la colorazione dei tessili e con che classe di prodotti?
Fin dall’antichità, l'uomo ha studiato i colori della natura e ha cercato di riprodurli, ricavandoli da foglie, frutti, bacche, cortecce, radici, licheni, insetti, molluschi e minerali. Attualmente la maggior parte dei coloranti impiegati dall’industria tessile è di origine sintetica.
Fu il il chimico inglese Perkin a sintetizzare nel 1856 il primo colore derivando il violetto dall’anilina e, da allora, le tinture sintetiche hanno preso il sopravvento sostituendo i coloranti naturali che erano più costosi, avevano difficoltà di replicabilità, poca solidità, scarsa resistenza al tempo e all’usura e non sempre adeguato potere coprente. Le fibre sintetiche grazie ai loro costi contenuti, all’infinita gamma cromatica e all’ottima affinità con tutte le fibre anche quelle di ultima generazione rappresentano oggi il 70% dei coloranti tessili.
Tinture, ammorbidenti e fissatori tessili contengono sostanze chimiche fortemente inquinanti per l’ambiente, i cui residui spesso rimangono sui capi e sono dannosi per chi li indossa e per gli addetti ai lavori.
Greenpeace nel 2011 ha pubblicato foto di fiumi in India e in Cina che sono diventati anormalmente verdi o magenta per gli scarichi chimici provenienti dalle aziende tessili a ridosso dei corsi d’acqua, denunciando il problema ed invitando le aziende ad affrontarlo.
Il mercato dei coloranti tessili, un mercato da quasi da 7 miliardi di dollari in Europa, spinto dalle pressioni di Greenpeace, dei marchi e dei consumatori, nel corso degli ultimi anni si sta prodigando nella ricerca di soluzioni alternative, innovative e più sostenibili, anche se ad oggi un processo di colorazione a impatto ambientale nullo ancora non esiste. Anche l’applicazione di coloranti naturali, infatti, richiede l’aggiunta di sali metallici, per lo più sali di alluminio, cromo o potassio che spesso finiscono negli scarichi.
La ricerca si è concentrata sull’utilizzo di coloranti meno tossici, come ad esempio un indaco (il blu utilizzato per la colorazione del jeans) che non contiene anilina, sulla sostituzione, nella tintura del cotone, della paracloroanilina che è una sostanza cancerogena, sul ridotto utilizzo degli ausiliari e additivi chimici (sostituiti talvolta da bioderivati ) , sull’impiego di tecnologie che consentano la tintura con poca o addirittura senza acqua, sul ricorso a biotecnologie per produrre pigmenti sfruttando enzimi e batteri..
La principale scommessa ovviamente rimane l’eliminazione completa delle sostanze chimiche pericolose, soprattutto quelle che tendono ad accumularsi nell’ambiente in cui vengono scaricate.
Alcune società e multinazionali stanno anche cercando di reintrodurre i coloranti naturali, che sono realizzati con sostanze vegetali o con rifiuti agricoli (economia circolare e upcycling) e che consentono un processo di tintura anche più efficiente dal punto di vista idrico.
Di questi coloranti si sta cercando di migliorare e ottimizzare le proprietà tintoriali e i requisiti tecnici e soprattutto di ridurre i costi grazie all’introduzione di nuove tecnologie.
Molte aziende sono impegnate nella ricerca; italiana è una delle aziende d’eccellenza che ha introdotto, accanto alle tinture tradizionali, una specializzazione in tinture naturali derivate dalle erbe, riproponendo, dalla scala artigianale a quella industriale, tecniche antiche di tintura tessile rivisitate in chiave moderna ed ecologica.
Questa azienda, per esempio, attraverso la catalogazione di 212 erbe diverse, tra le quali sandalo, henné, mirtillo, noce, ginepro, castagno, frassino, equiseto, malva, betulla, curcuma, liquirizia, indigofera, è riuscita ad ottenere tinture stabili e con molte tonalità cromatiche conseguendo importanti riconoscimenti da parte di osservatori internazionali nell’ambito della green economy.
Gli obiettivi prossimi per modernizzare i processi della colorazione tessile sono quelli di inventare coloranti ecologici e sostenibili accettabili e competitivi anche economicamente.
Un’effettiva riduzione dell’impatto ambientale di questo settore però richiede necessariamente azioni contemporanee su diversi fronti: dalla ricerca di nuove materie prime ai trattamenti delle acque di scarico all’ottimizzazione dei processi. Essenziale comunque resta la sensibilizzazione dei consumatori.
I marchi, le aziende produttrici di moda devono effettivamente optare per soluzioni più rispettose dell’ambiente ed eticamente accettabili anche se più dispendiose per diventare sostenibili. La spinta deve arrivare proprio dai brand e dai designer che devono progettare con consapevolezza. Il consumatore deve infine fare la sua parte, essere consapevole e disposto a spendere un pochino di più, se vuole indossare capi che siano “non dannosi per la salute” delle persone e dell’ambiente.