Il nuovo Rapporto AGI/Censis sulla cultura dell’innovazione prende in esame tutti gli aspetti della vita digitale. E lo fa in un momento di svolta. La lunghissima luna di miele con la Silicon Valley e quello che rappresenta sembra finita.
Il termine “techlash” sintetizza molto bene la caduta degli dei dell’innovazione digitale. Non parliamo dei profitti, che invece sono sempre più alti; parliamo della reputazione, del consenso, di quell’aura leggendaria che ammantava ogni scelta, ogni azione, ogni discorso che veniva da chi aveva fondato una Big Tech. Il caso Cambridge Analytica, con la messa in stato di accusa di Facebook e le imbarazzanti audizioni parlamentari di Mark Zuckerberg, è stato il più eclatante.
Ma in modi e momenti diversi anche Google, Amazon, Apple sono finite nel mirino. E se negli anni scorsi le uniche critiche erano relative alla disinvolta gestione fiscale dei profitti, negli ultimi mesi gli attacchi hanno riguardato i rapporti con i dipendenti, la tutela dei clienti, l’eccesso di potere che sembra sconfinare nel monopolio, e più in generale la responsabilità nel produrre una innovazione che non si riveli dannosa per la specie umana.
Il Rapporto AGI/Censis interroga gli italiani in questo momento di passaggio così delicato e i risultati confermano il cambiamento in corso. Per la prima volta emerge il fatto che i dati personali raccolti dalle piattaforme tecnologiche sono un valore che va tutelato; che la nostra identità digitale va protetta da attacchi hacker in grado di creare seri danni; che molti iniziano a porsi il problema non più di essere connessi, e di esserlo sempre, ma di avere la capacità di staccarsi dalla rete ogni tanto per non restare vittime di una comunicazione fatta solo di notifiche istantanee.
Si intravedono insomma, segnali di una età della responsabilità digitale, ovvero di un atteggiamento più maturo e consapevole verso quelli che sono i rischi della rete. Non ancora lo stesso si può dire sulle opportunità. Una volta definii la rete “la più grande piattaforma della conoscenza che l’umanità abbia mai avuto”. E per questo, la prima “arma di costruzione di massa”.
Enormi sono infatti la implicazioni di Internet per chi fa scienza, per chi fa impresa, per chi immagina di trovarsi o crearsi un lavoro e per una pubblica amministrazione che può trasformarsi puntando su trasparenza, efficienza, partecipazione garantendo un nuovo sistema di diritti sociali (pensate all’impatto del digitale sulla sanità o sulla scuola, per citare due settori chiave). Invece sembra che l’uso, ormai intensissimo (anche se ancora un italiano su tre resta fuori), della rete in Italia sia soprattutto riconducibile a due fattori: i social e le app di messaggistica. Insomma: parole, parole, parole. Che sembrano delineare una società della conversazione in cui vale tutto, ma soprattutto vince chi dice l’ultima parola, chi la spara più grossa. Chi ha lo slogan migliore.
Parafrasando un celebre film western qualche giorno fa qualcuno ha scritto che, quando in rete un uomo con una spiegazione incontra un uomo con uno slogan, l’uomo con una spiegazione è un uomo morto. Ma se rinunciamo alle spiegazioni, agli approfondimenti, alla complessità dei problemi e delle soluzioni, se rinunciamo alla verità dei fatti, quell’uomo morto del film western è soltanto la metafora del nostro declino.
Qui il programma della presentazione del quarto rapporto Agi/Censis