Ci fosse stato anche un delitto, la storia avrebbe ispirato Georges Simenon. Una storia di mercanti d’arte e di falsari, di nuovi emigrèes fuggiti dalla Russia di Putin e diventati ricchi oligarchi grazie a fortune di dubbia provenienza. E poi intrighi internazionali e trame di potere, con il rischio di un danno di immagine devastante per uno dei musei più prestigiosi del Belgio.
La vicenda inizia a ottobre, quando il Museo di Belle Arti di Gand, inaugura con grande clamore una mostra sulle Avanguardie russe. Ventisei pezzi rari, anzi praticamente inediti, di uno dei movimenti pittorici e artistici più importanti del ‘900. Tele di Malevich, Kandinsky, Natalia Goncharova, Rodchenko. La collezione è concessa in prestito al museo belga dalla Fondazione Dieleghem, di proprietà del collezionista e magnate russo-belga Igor Todorovski. Il milieu artistico belga è orgoglioso, il pubblico entusiasta.
Ma passano poche settimane e non appena le immagini della mostra inziano a girare su Internet, emergono i primi dubbi. Da New York a Mosca, da Londra a Parigi, un gruppo di esperti di arte russa dell’altro secolo, pubblica una lettera aperta sul quotidiano fiammingo Der Standaard e definisce "altamente dubbia" l’origine delle opere. Gli esperti si domandano come sia possibile che una collezione così ricca di artisti tanto prestigiosi possa essere stata messa insieme in gran segreto. L’attacco arriva anche da Mosca: “Si tratta chiaramente di falsi – tuona il direttore del Centro di Arte moderna della capitale russa, Vitali Patsioukov – è solo un assemblaggio di copie di dipinti esistenti”.
L'avanguardia russa è da sempre un movimento artistico particolarmente esposto alla contraffazione, “in 30 anni di carriera ho visto un solo Malevich sicuramente autentico”, dice in una intervista Matthew Bown, collezionista e storico dell’arte britannico, grande esperto di arte russa del XX secolo. “Nemmeno il più ricco oligarca di tutte le Russie avrebbe potuto mettere insieme una collezione così”, aggiunge riferendosi alla mostra di Gand.
La direzione del Museo si difende e assicura di avere "agito correttamente e con piena fiducia”. I prestiti, contrariamente alle acquisizioni, richiedono certificati di provenienza, ma nessun esame dei lavori in laboratorio, dicono da Gand. E fino a quando “non saranno fornite prove inconfutabili, non c'è motivo per ritirare i lavori".
Todorovski, che la leggenda vuole giovane consigliere di Gorbaciov e poi di Eltsin nei tumultuosi anni del crollo dell’Urss e che si vanta di aver lavorato fianco a fianco con Jacques Delors, si difende. Il ricchissimo collezionista russo, emigrato a Bruxelles nel 2006 per non essere nella lista degli amici di Vladimir Putin, dalla sua casa museo nel cuore della capitale belga, parla di “attacco ingiusto e violento”, denuncia trame ordite dal potere di Mosca, evoca mercanti d’arte gelosi della sua collezione e pronti a danneggiare i suoi interessi commerciali. Il Ministro della Cultura della regione fiamminga, d’accordo con l’amministrazione locale e lo stesso museo, chiede che una commissione di esperti valuti le tele.
Il giallo, per ora, rimane senza soluzione. E i dipinti restano esposti. Simenon l’avrebbe trasformato in una esemplare storia belga, un paese in cui quasi mai ciò che appare corrisponde davvero a ciò che è. Le cronache diranno se si tratta invece di un regolamento di conti da romanzo russo. O, semplicemente, di una gigantesca truffa.