Dopo otto anni molto intensi trascorsi come corrispondente dell'Agenzia Italia da Bruxelles, Francesca Venturi rientra in questi giorni in Italia, dove assumerà l'incarico di responsabile della redazione milanese. Quello che segue è il suo ultimo post del 2017 dalla capitale belga.
Nel gennaio del 2010 Bruxelles era coperta da uno strato di ghiaccio e le istituzioni europee si preparavano ad affrontare uno dei periodi più difficili della loro storia. Stava infatti per esplodere in tutta la sua gravità la crisi del debito sovrano in Grecia. Dal modo in cui, proprio a partire dal 2010, i partner dell’Euro avrebbero gestito la crisi sarebbe dipesa una drammatica conseguenza: l’allontanamento dei cittadini dall’Unione europea.
Dalle prime proteste in piazza ad Atene contro le drastiche misure chieste dal governo in cambio dei necessari aiuti finanziari, alla crescita in tutti i paesi Ue dei consensi per i movimenti populisti ed euroscettici fino, in ultima analisi, alla Brexit: tutti effetti della stessa causa.
Non si contano le riunioni di emergenza dell'Eurogruppo (il consiglio dei 19 ministri delle Finanze della moneta unica) durate anche tutta la notte per concludersi con decisioni non sempre all'altezza delle attese. Ma da tante nottate sono anche scaturiti elementi di rafforzamento dell'Eurozona. Da qualche tempo, con il contributo della politica monetaria espansiva della Bce di Mario Draghi, si cominciano a vedere i primi risultati: l'economia è tornata a crescere, anche se troppo lentamente perché tutte le fasce della popolazione europea se ne accorgano. Un altro elemento da considerare è che dagli errori commessi all'inizio della crisi, in particolare l'eccesso di austerità voluto soprattutto dai paesi del nord e sostenuto dalla Germania, qualcosa i decisori di Bruxelles hanno imparato e negli ultimi tempi si sono cominciate ad applicare con “flessibilità” le norme del patto di stabilità e crescita (che lega i partner euro con limiti come il debito al 60% del Pil o il deficit al 3%). Si è inoltre finalmente affrontato il tema “sociale”, trascurato negli anni dell'emergenza, con una maggiore attenzione alla povertà e alla disoccupazione, che cala in Europa ma non abbastanza in Italia.
In questi anni i 28, ormai quasi 27, paesi dell'Unione si sono scontrati su tante questioni, prima fra tutte la solidarietà sull'accoglienza dei migranti, spinti da guerra e povertà sulle coste meridionali del continente: le italiane, quindi, e le greche. Anche in questo caso ai dissidi e alle decisioni poco solidali da parte di alcuni paesi si contrappone il dato positivo di una nuova spinta alla cooperazione allo sviluppo per i principali paesi di origine dei flussi migratori economici, quindi soprattutto in Africa, politica sostenuta dall'Italia.
Ma 8 anni a Bruxelles non hanno significato solo seguire l’Ue. Osservatorio purtroppo privilegiato sul fenomeno del terrorismo jihadista e dei combattenti stranieri, la capitale europea è stata a sua volta duramente colpita. Una prima volta, quando si è saputo che proprio da Molenbeek, quartiere a due passi dalla Grand Place, erano stati organizzati gli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi (compresa la strage al Bataclan).
La seconda, direttamente e drammaticamente, il 22 marzo 2016, quando tre kamikaze all'aeroporto di Zaventem e nel metrò Maalbeek, proprio a due passi dai palazzi Ue, hanno provocato 32 morti e centinaia di feriti. A questo trauma la città ha reagito in modo composto, nonostante la paura e la consapevolezza dell'esistenza di nuclei di islamismo radicale in alcune aree. Pochi mesi dopo, i locali dei quartieri più internazionali (Place Luxembourg, Flagey, Chatelain) si sono nuovamente affollati e, fatta salva l'ingombrante presenza di soldati armati fino ai denti (ormai una realtà familiare anche nelle altre grandi città europee), all’apparenza tutto è tornato come prima, mentre i magistrati della procura federale continuano a indagare e i sopravvissuti fra i responsabili delle stragi saranno presto processati.
Restano i tanti problemi da risolvere, l’Unione bancaria da completare, i divari fra paesi nel digitale, la condivisione dell'accoglienza dei migranti, la collaborazione nel settore della sicurezza. Ma la Brexit, così come la presenza dell'antieuropeo Trump alla Casa Bianca, hanno provocato una maggior coesione fra i 27, che hanno anche rispolverato, finalmente avviandolo, il vecchio progetto di una Unione della difesa, rendendola compatibile con una maggiore cooperazione con la Nato.
Nel dicembre 2017, dopo anni di inverni più miti, si è rivisto sui laghetti cittadini il ghiaccio oltre a qualche fiocco di neve. Ma le sfide da affrontare a Bruxelles sono diverse rispetto a 8 anni fa. E se allora si parlava di “rischio Grexit”, finalmente scongiurato nell'estate 2015, oggi c’è la non meno impegnativa certezza della Brexit, da affrontare al meglio perché nel marzo del 2019 la separazione non sia troppo traumatica per le due parti.
La città che sto lasciando è cosmopolita e piacevole, e può rivelarsi sorprendentemente accogliente nonostante la scarsa integrazione di intere comunità e il duro passato coloniale del Belgio, oltre alla triste storia dell'immigrazione “mineraria” italiana. In ogni caso, c'è moltissimo da raccontare: l'ideale per un giornalista.