C'è una stella brillante che possiamo vedere ad occhio nudo, un astro che si muove molto velocemente da ovest verso est, in direzione contraria alla rotazione della sfera celeste. E’ la Stazione Spaziale Internazionale (International Space Station o ISS), una base orbitante grande come un campo di calcio, pesante quasi 500 tonnellate e costata oltre 100 miliardi di dollari.
In quasi 18 anni, la ISS ha percorso più di 100 mila orbite (se avesse lasciato la Terra avrebbe raggiunto il pianeta Urano) e ha ospitato oltre 200 astronauti di diverse nazionalità. Eppure, tra pochi anni, questo gioiello della tecnologia potrebbe essere smantellato e i vari elementi rimossi dall’orbita e destinati a disintegrarsi al rientro nell’atmosfera terrestre.
Gli accordi tra le cinque agenzie spaziali coinvolte prevedono, infatti, che la ISS rimanga operativa fino al 2024. Il conto alla rovescia è già cominciato con l’agenzia russa che, missione dopo missione, sta lentamente riempiendo i serbatoi del modulo di servizio, che verrà utilizzato per deorbitare la stazione.
Ci sono, però, voci di dissenso rispetto al piano di dismissione della ISS. L’ultima, in ordine di tempo, è quella di Michael Foale - astronauta della NASA di origini britanniche - che ha recentemente dichiarato: "Penso che sia un piano sbagliato, un enorme spreco di una fantastica risorsa".
Un curriculum speciale
Foale sa bene di cosa parla, ha un “curriculum spaziale” davvero unico: ha volato a bordo dello Space Shuttle e della Soyuz, ha vissuto sulla base spaziale russa Mir e ha comandato la Stazione Spaziale Internazionale. E’ anche uno dei pochi astronauti che ha dovuto affrontare una reale emergenza in orbita. Era a bordo della Mir nel giugno del 1997, quando un veicolo automatico Progress urtò violentemente la stazione, distruggendo un pannello solare e aprendo una breccia nello scafo. Fronteggiare una perdita di pressurizzazione è una delle situazioni più gravi, l’incubo di qualsiasi astronauta ma, nonostante tutto, l’equipaggio riuscì a salvare la Mir.
Foale è consapevole che, alla luce delle nuove direttive del Presidente Trump, le priorità della NASA si sposteranno verso le missioni lunari e sempre meno risorse saranno disponibili per la Stazione Spaziale Internazionale, rendendo inevitabile il suo abbandono.
Perciò, ha lanciato una campagna per attrarre investimenti privati che possano garantire il futuro della ISS. Ci sono attività commerciali che già utilizzano la stazione per i loro esperimenti o per lanciare piccoli satelliti e società, come Space X e Boeing, che stanno costruendo le capsule per trasportare gli astronauti americani sulla base orbitante. Anche per questo, non appare troppo irrealistica l’idea che i privati possano contribuire a mantenere in vita l’avamposto più avanzato che l’umanità ha costruito nello spazio.
Mi auguro che l’appello di Michael possa avere seguito perché, come lui, sono convinto che la ISS sia stata una tappa fondamentale dell’esplorazione umana del cosmo. Abbiamo imparato a vivere per lunghi periodi nello spazio e a svolgere importanti ricerche in orbita. Ma, soprattutto, abbiamo dimostrato che le insidie dello spazio si possono affrontare meglio se si superano le differenza di nazionalità, di lingua e di cultura e si mettono in campo le migliori tecnologie e intelligenze dell’umanità.
Sulla targa del modulo lunare dell’Apollo 11 c’era scritto: "Qui uomini dal pianeta Terra hanno messo piede per la prima volta sulla Luna nel Luglio del 1969. Siamo venuti in pace per tutta l’umanità". Non era vero allora, ma oggi quella frase ha un nuovo significato anche grazie all’esperienza della Stazione Spaziale Internazionale.
Una lezione preziosa, se vogliamo diventare una specie multi-planetaria.