In una troupe cinematografica ci sono ruoli distinti da rispettare: come in un esercito, la dimensione piramidale ben regolamentata e la capacità delle singole truppe sono le uniche garanzie del successo in battaglia. Ma se le troupe cinematografiche fossero due? O addirittura tre? E se il campo di battaglia si estendesse in più paesi al mondo, tra cui la Cina? Di fronte a questi scenari, si può intuire quanto la sfida possa essere complessa e avvincente.
Questa è stata l'esperienza di Caffè, il film di Cristiano Bortone, uscito nelle sale italiane nel 2016 e approdato in Cina il 30 dicembre scorso. “In Italia ci sono 2.400 schermi, vuol dire che esce con tre volte gli schermi che ci sono in Italia, ossia con 7.000 copie, che per la Cina non sono neanche tante, perché hanno 44 mila sale oggi, mi sembra un risultato incredibile, questo come si traduca non lo so giudicare, lo vedremo a breve” osserva Bortone, ancora oggi stupito dai numeri, grandi e immancabili quando si parla di mercato cinese e industria culturale.
Caffè è il primo film italiano in coproduzione con la Cina: si tratta di un lungometraggio che utilizza il caffè (il suo sapore, i chicchi e una caffettiera) come trait d'union, per un racconto che si svolge tra Italia, Belgio e Cina. “Il film ha voluto interpretare il cambiamento geopolitico e dell'economia del mondo”, dice il regista. “La Cina - continua - sempre più in crescita economica, compra fabbriche, imponendo anche i propri stili economici un po' spietati da una parte, ma poi è anche vittima di disastri ambientali, di una devastazione del territorio e soprattutto di un allontanamento dalle proprie radici culturali, dove una generazione ha trovato la ricchezza senza però avere nessun passato, nessuna storia e rischiano di sacrificare tutto al dio denaro”.
Il film si svolge attraverso tre episodi: in Cina il protagonista è un giovane imprenditore locale conscio dell'imminente disastro ambientale che la sua fabbrica potrebbe provocare, decide di prendere posizione, schierandosi dalla parte della sua terra di origine, lo Yunnan. In Italia, invece, il fulcro della narrazione è la disoccupazione, “e la mancanza di prospettive per i giovani”, sottolinea Bortone. Il protagonista è un giovane che intraprende una rapina con i suoi colleghi all'interno della ditta di torrefazione per cui lavora. Infine il Belgio, dove un uomo iracheno viene derubato della sua preziosa caffettiera custodita da varie generazioni della sua famiglia, all'interno di una Bruxelles caratterizzata da guerra tra poveri mascherata da razzismo.
Caffè ha il pregio e l'ambizione di raccontare e di rivolgersi direttamente alla classe media cinese: i personaggi principali dell'episodio tra Pechino e lo Yunnan, sebbene forse troppo rigidi nella loro caratterizzazione, ben delineano i bisogni e le preoccupazioni di una fascia sociale in constante aumento. Offre anche degli spunti di riflessione su immigrazione e tensioni sociali in Occidente; problematiche che pur suscitando interesse per questa fascia di pubblico, spesso vengono considerate distanti dalle dinamiche in atto in Cina.
“La troupe cinese - racconta Bertone - rappresenta la situazione della Cina in questo momento, lavorano duramente, sono molto entusiasti e molto motivati, ci sono tante energie giovani, persone che vogliono fare, studiano, si informano, ma l'altro lato della medaglia è che sono professionalmente giovani, parlo principalmente dei capo-reparto, poi ci sono sicuramente delle professionalità molto di spicco, ma in generale si stanno formando, compensano con un grande entusiasmo per cui comunque arriveranno, questa è la verità.”
Per questo motivo Caffè è stata anche una complessa esperienza, gestire tre troupe, tre location diverse: “Serve - sottolinea - una grandissima pazienza e una grandissima capacità di compromesso, se non c'è questa capacità, non c'è possibilità di fare nulla con la Cina. Quello che per ora ho dimostrato è che si può fare, si può avere il dragone verde della coproduzione, si possono avere partner cinesi, si possono raccontare storie anche scomode, e si può uscire in sala" Una volta che è stato creato un sentiero, conclude Bortone, "qualcuno può seguire”.