Ormai “Natale” è il nome più diffuso al mondo per riferirsi alla festività, prima pagana e poi cristiana, che si associa al solstizio di inverno e ai miti legati a esso. Natale significa letteralmente “nascita”. La festività del Dies Natalis Solis Invicti (Giorno di nascita del Sole Invitto) veniva celebrata durante il solstizio d'inverno, il giorno meno luminoso dell'anno, poiché da quel giorno in poi le giornate sarebbero tornate ad allungarsi nuovamente, simboleggiando la rinascita del sole.
Dal Giorno della nascita del Sole Invitto deriva appunto il Natale. Tuttavia, l’egemonia culturale cristiana ha finito per rimpiazzarlo ed ora assistiamo più o meno allo stesso fenomeno in chiave contemporanea: proprio come Halloween che, anche in Italia, sta sovvertendo lentamente la tradizionale festa dei morti, in Cina accade lo stesso tra il Dongzhi e il Natale.
Il Natale è infatti approdato ovunque, anche e soprattutto in Cina, la cosiddetta “fabbrica del mondo” o di “Babbo Natale” se vogliamo, visto che attualmente la gran parte dei doni che ci scambiamo il 25 Dicembre sono prodotti qui. Fino a qualche anno fa il 75% dei giocattoli e il 95% delle luminarie presenti in Italia provenivano dalla Cina, in particolare dal sud, dove le oltre 600 fabbriche della sola città di Yiwu sono responsabili del 60% delle decorazioni e accessori natalizi del mondo.
Nonostante solo circa il 7% della popolazione cinese sia cristiana e le persone lavorino senza sosta per tutto il mese di Dicembre, il Natale è ogni anno sempre più sentito nella Terra di mezzo, soprattutto nei grandi centri e tra i giovani. E’ comune imbattersi in alberi e lucette natalizie, ma che cosa sia il Natale al di fuori dei centri commerciali ancora non è chiaro: “So che riguarda una persona che si chiamava Gesù, ma non ne sono sicuro” è un commento rilasciato in un intervista della CBN news (Christian Broadcasting news).
La globalizzazione culturale non risparmia dunque nessuno, neanche millenarie civiltà, la cui cultura è sopravvissuta oltre che ai tempi, anche alle invasioni di mezzo mondo e ai numerosi tentativi di estirparla, in ultimo la rivoluzione culturale. Ecco perché a tutte quelle persone curiose di capire come si festeggi il Natale in Cina, preferirei spiegare invece quale sia il vero “Natale cinese”. La festa del “Dōngzhì” (冬至lett. “Arrivo dell’inverno” o “estremo dell’inverno”) è in realtà l’originale festività cinese legata al periodo natalizio e al solstizio invernale.
Il calendario tradizionale dell’Asia orientale divide l’anno in 24 “mesi solari” (節氣) Il Dōngzhì rappresenta il ventiduesimo e le sue origini risalgono a circa 2000 anni fa, legate all’antico concetto dello yin e yang, la filosofia dell’armonia universale caratteristica del taoismo. Il taoismo vede un aumento nei flussi di energie positive nelle giornate che tornano ad essere più luminose e lo rappresenta filosoficamente attraverso l’esagramma fù (復, “Ritorno”) del classico “I Ching”.
In questo giorno la famiglia cinese si riunisce, proprio come per il Natale. La tradizione più diffusa è quella del sud della Cina, che prevede la preparazione dei tangyuan (湯圓 polpette di riso glutinoso). Possono essere bianche o colorate, vuote o ripiene, cotte in una zuppa o aromatizzate al vino di riso. Nel Nord della Cina sono invece i Jiaozi (ravioli cinesi) ad essere simbolo di “riunione”. Si dice che i ravioli cinesi siano stati inventati da Zhang Zhongjing, l'uomo passato alla storia come “il santo della medicina”, più di 1800 anni fa, sotto la Dinastia Han. Si racconta che Zhang vide dei poveri soffrire per i geloni alle orecchie, così decise di arrotolare in una pasta sottile un po' di carne di agnello insieme a del peperoncino e delle erbe mediche riscaldanti, dandogli la forma di orecchie e bollendoli nell'acqua. Li distribuì tra le persone impedire che le loro orecchie si congelassero e per tenerli caldi. Questo è il leggendario motivo per cui i Jiaozi hanno le forme di orecchie e si mangiano durante il freddo Dongzhi. Vennero perciò chiamati qùhán jiāoěr tāng (祛寒嬌耳湯 lett. zuppa di ravioli che espelle il freddo).
Alcuni culti antichi richiedono che le persone con lo stesso cognome o appartenenti allo stesso clan si rechino a venerare i propri antenati in questo giorno. Anche a Taiwan il culto degli antenati è la principale caratteristica legata a questa festività. Qui però vi è il costume di dare al riso glutinoso la forma di galli, tartarughe, anatre, maiali, mucche o pecore, considerati dalla tradizione cinese come dei buoni auspici.
La tradizione culinaria del Dongzhi funge anche da promemoria, per ricordarsi del tempo che scorre, della crescita e maturazione di ogni individuo. Non a caso tantissimi cinesi nel mondo sostengono che si possa essere un anno più vecchi non tanto dopo il proprio compleanno o il Capodanno Cinese, quanto dopo il Dongzhi.
Possiamo dunque chiamarlo Natale, Yule, Chanukkà, Yalda, Dongzhi. Sta di fatto che in questo periodo, gran parte delle tradizioni popolari hanno visto nella stella polare un buon auspicio, la guida verso dei giorni più lunghi e luminosi, una speranza per il futuro. In quanto proveniente da una cultura cristiana, per augurare il meglio in questo giorno non mi verrebbe che da dire “Buon Natale”, mangiare del panettone e stappare lo spumante in compagnia dei miei cari. Spero però che i miei cari cinesi non si facciano influenzare da ciò, e che mi rispondano con dei ravioli, delle polpette di riso o della semplice grappa a ritmo di ganbei, augurandomi: Buon Dongzhi anche a te, o più naturalmente dongzhi kuaile 冬至快乐!