di Lionello Lanciotti
Roma, 4 apr.- Chi visita a Pechino la Città Proibita, già residenza di molti imperatori, avrà notato che in uno dei tanti edifici c’è una ricca raccolta di antichi orologi occidentali. Ancora una volta occorre ritornare a Matteo Ricci, che importò in Cina via Macao e Hong Kong alcuni di questi orologi. Non è un caso se, nel pantheon della religione popolare cinese, Ricci compaia come il protettore degli orologiai.
Alcuni orologi furono donati alla Corte imperiale già nel 1583. Altri anche in seguito. L’imperatore Kangxi (1662-1722) visitò la sede dei Gesuiti a Pechino per vedere orologi e carillon e volle installare un laboratorio nella Città Proibita per produrre e riparare orologi. Alcuni eunuchi erano addetti a tale lavoro ed ebbe inizio l’interesse anche dei mandarini per questi oggetti, perché possederli era un autentico segno di ricchezza.
Ancora agli inizi del ventesimo secolo, un altro missionario, Leone Nani (1880-1935), fu in Cina dal 1904 al 1913. Oltre alla sua opera di missione, padre Nani fece su lastre varie centinaia di fotografie, conservate oggi in diversi archivi italiani, che ricordavano vari aspetti della società cinese. In molte foto di gruppo è frequente un grande orologio meccanico a rappresentare lo stato sociale della famiglia. Non c’era ancora la televisione e neanche le Ferrari… Ma sicuramente questi orologi di tipo occidentale erano un segno della ricchezza delle famiglie fotografate.
A Leone Nani, negli ultimi anni, sono state dedicate alcune mostre fotografiche e anche pubblicazioni.
Lionello Lanciotti è professore emerito di Filologia cinese dell'Università di Napoli L'Orientale
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