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Nato a Pechino nel 1956, lo scrittore cinese Xu Xing ha vissuto in prima persona i grandi eventi che hanno fatto la storia della RPC: dalla Rivoluzione Culturale (durante la quale i suoi genitori furono arrestati) alle giornate di Tiananmen (dove rimase a fianco degli studenti fino all'ultimo minuto). Spirito libero, ha intrapreso in gioventù una vita errabonda che l'ha portato a sperimentare i più diversi mestieri per guadagnarsi da vivere (da militare nell'Esercito di Liberazione Popolare a cameriere e spazzino) e a viaggiare in Europa per poi stabilirsi in Germania. In Italia, il suo romanzo "E quel che resta è per te" – mai pubblicato in Cina, ma assai popolare tra le giovani generazioni cinesi – è edito da Nottetempo (2006). A riguardo, la critica avanza delle analogie con "Sulla strada" di Kerouac, "Il giovane Holden" di Salinger e perfino con i disperati monologhi di Miller.
D: Quali ragioni l'hanno spinto a divenire uno scrittore?
R: La professione di scrittore è per me una passione e un hobby. Sin da piccolo amavo leggere ed ero particolarmente bravo a raccontare storie; poi, nel tempo, ho coltivato questo mio interesse e l'ho trasformato nel mio lavoro. Mi piace e mi stimola perché è un'attività creativa: come tanti altri mestieri artistici (quali la pittura, la fotografia, la scultura) ma anche come alcune professioni manuali più diffuse (come il falegname che ha realizzato il tavolo dove siamo seduti in questo momento) c'è un contatto, un dialogo diretto e privilegiato con il prodotto che pian piano prende forma, si concretizza e di cui puoi apprezzare la bellezza.
D: Come ha coltivato questa sua innata inclinazione verso la letteratura e la scrittura?
R: Leggendo. Ho letto veramente tanto, mi sono nutrito di letteratura, sia cinese sia occidentale.
D: In italiano quali scrittori e quali opere le sono particolarmente piaciuti?
R: Da piccolo, senz'altro Pinocchio. Poi crescendo i classici come Dante. E proseguendo Leopardi, Calvino, Rodari…
D: Cosa pensa dell'esercizio della professione dello scrittore in Cina? Si sente vincolato nelle sue produzioni?
R: Personalmente me ne frego e non mi pongo il problema nella fase della stesura delle mie opere. Io scrivo e poi lascio che le autorità vaglino quanto ho prodotto.
D: Da buon libro il lettore può apprendere importanti insegnamenti e preziose lezioni di vita; quindi, in maniera indiretta, lo scrittore ha una grande responsabilità nei confronti dei suoi lettori. Quest'aspetto sembrerebbe aver assunto una spiccata rilevanza in quest'epoca di globalizzazione, in cui la società sembra soffrire una crisi d'identità e molti giovani non hanno ideali radicati, vivono in maniera sempre più uniformata e dissoluta. Concorda con questa visione? Quando scrive, ha come obiettivo la trasmissione di un messaggio e/o di un insegnamento?
R: Sinceramente io scrivo per me stesso. Credo che ognuno di noi debba trovare la sua strada e perseguirla. Credo di averla trovata nella scrittura. Quando scrivo e rileggo quanto ho prodotto mi sento realizzato e questo – di per sé – mi basta. Se poi le mie opere piacciono al pubblico e i lettori ne riescono a trarre degli insegnamenti questo mi fa naturalmente piacere, ma direi che è non l'obiettivo prioritario che perseguo nella stesura dei miei lavori. Inoltre, le vicende di cui parlo rispecchiano largamente la mia esperienza. Racconto di me, del fatto che da ragazzo mi piacevano le belle ragazze (cosa che non è cambiata neppure ora che sono un po' "cresciuto" ma non sono ancora vecchio!) e ogni volta che ne incontravo una nuova provavo a immaginare a quale fosse la sua storia e se io avessi potuto cambiarla, entrando magari a far parte della sua vita. A volte descrivo anche i piaceri della vita, tra cui il sesso. In Italia il mio romanzo "Quel che resta è per te" è edito da Nottetempo. Con la traduzione, a prescindere dalla qualità del traduttore, si perde parte del coinvolgimento e dell'immediatezza dell'opera, e questo è un peccato.
D: Che cosa pensa in merito al futuro dell'editoria e della stampa?
R: Nonostante il piacere della lettura di un libro che si possa tenere nelle proprie mani sia impagabile, credo che dobbiamo rassegnarci. Grazie o a causa di internet e delle nuove tecnologie riusciremo a breve a disporre in tempo reale di qualsiasi libro desideriamo sul nostro portatile o addirittura in dispositivi di dimensioni più asciutte che potremo agilmente portare con noi durante i nostri spostamenti, in metropolitana per fare un esempio. Non credo ci sia modo di contrastare questa tendenza.
Di Giulia Ziggiotti
D: Quali ragioni l'hanno spinto a divenire uno scrittore?
R: La professione di scrittore è per me una passione e un hobby. Sin da piccolo amavo leggere ed ero particolarmente bravo a raccontare storie; poi, nel tempo, ho coltivato questo mio interesse e l'ho trasformato nel mio lavoro. Mi piace e mi stimola perché è un'attività creativa: come tanti altri mestieri artistici (quali la pittura, la fotografia, la scultura) ma anche come alcune professioni manuali più diffuse (come il falegname che ha realizzato il tavolo dove siamo seduti in questo momento) c'è un contatto, un dialogo diretto e privilegiato con il prodotto che pian piano prende forma, si concretizza e di cui puoi apprezzare la bellezza.
D: Come ha coltivato questa sua innata inclinazione verso la letteratura e la scrittura?
R: Leggendo. Ho letto veramente tanto, mi sono nutrito di letteratura, sia cinese sia occidentale.
D: In italiano quali scrittori e quali opere le sono particolarmente piaciuti?
R: Da piccolo, senz'altro Pinocchio. Poi crescendo i classici come Dante. E proseguendo Leopardi, Calvino, Rodari…
D: Cosa pensa dell'esercizio della professione dello scrittore in Cina? Si sente vincolato nelle sue produzioni?
R: Personalmente me ne frego e non mi pongo il problema nella fase della stesura delle mie opere. Io scrivo e poi lascio che le autorità vaglino quanto ho prodotto.
D: Da buon libro il lettore può apprendere importanti insegnamenti e preziose lezioni di vita; quindi, in maniera indiretta, lo scrittore ha una grande responsabilità nei confronti dei suoi lettori. Quest'aspetto sembrerebbe aver assunto una spiccata rilevanza in quest'epoca di globalizzazione, in cui la società sembra soffrire una crisi d'identità e molti giovani non hanno ideali radicati, vivono in maniera sempre più uniformata e dissoluta. Concorda con questa visione? Quando scrive, ha come obiettivo la trasmissione di un messaggio e/o di un insegnamento?
R: Sinceramente io scrivo per me stesso. Credo che ognuno di noi debba trovare la sua strada e perseguirla. Credo di averla trovata nella scrittura. Quando scrivo e rileggo quanto ho prodotto mi sento realizzato e questo – di per sé – mi basta. Se poi le mie opere piacciono al pubblico e i lettori ne riescono a trarre degli insegnamenti questo mi fa naturalmente piacere, ma direi che è non l'obiettivo prioritario che perseguo nella stesura dei miei lavori. Inoltre, le vicende di cui parlo rispecchiano largamente la mia esperienza. Racconto di me, del fatto che da ragazzo mi piacevano le belle ragazze (cosa che non è cambiata neppure ora che sono un po' "cresciuto" ma non sono ancora vecchio!) e ogni volta che ne incontravo una nuova provavo a immaginare a quale fosse la sua storia e se io avessi potuto cambiarla, entrando magari a far parte della sua vita. A volte descrivo anche i piaceri della vita, tra cui il sesso. In Italia il mio romanzo "Quel che resta è per te" è edito da Nottetempo. Con la traduzione, a prescindere dalla qualità del traduttore, si perde parte del coinvolgimento e dell'immediatezza dell'opera, e questo è un peccato.
D: Che cosa pensa in merito al futuro dell'editoria e della stampa?
R: Nonostante il piacere della lettura di un libro che si possa tenere nelle proprie mani sia impagabile, credo che dobbiamo rassegnarci. Grazie o a causa di internet e delle nuove tecnologie riusciremo a breve a disporre in tempo reale di qualsiasi libro desideriamo sul nostro portatile o addirittura in dispositivi di dimensioni più asciutte che potremo agilmente portare con noi durante i nostri spostamenti, in metropolitana per fare un esempio. Non credo ci sia modo di contrastare questa tendenza.
Di Giulia Ziggiotti
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