di Adolfo Tamburello*
Napoli, 15 apr.- La dinastia Zhou era spodestata nel 256 a.C., con l'occupazione della sua capitale dalle forze di Qin. La cronologia tradizionale datava la fase del progressivo e inarrestabile declino della "terza" dinastia dal 476, quando si faceva iniziare il periodo degli Stati Combattenti o dei "paesi in guerra" (zhanguo), che si concludeva nel 221 a.C. con la fondazione del primo impero cinese.
Le epoche Shang e Zhou avevano inaugurato il processo storico di quella che stava diventando la Cina con l'inglobamento di aree continentali sempre più vaste. Al Nord e all'Ovest, la lunga frontiera con la steppa aveva rappresentato un terreno in cui gli agricoltori per un verso, gli allevatori e i cacciatori per l'altro, si erano contesi spazi di sussistenza. Le fonti storico-letterarie accennano a contatti antichi fra "Cinesi" e "barbari", questi ultimi indicati come gli "uomini con gli archi" (yi) e più specifici etnonimi. Già gli Shang tramandavano le loro campagne contro i Qiang delle regioni occidentali, e gruppi di Qiang erano passati tra le file degli Zhou.
Dai secoli X-IX, gli Ho, "temerari, folli, selvaggi", un nome che passava in seguito a designare gli Iranici, erano distinti in Xi-ho, "barbari occidentali", e Dong-ho, "barbari orientali", (in trascrizione Wade-Giles Tung-hu), da cui il termine 'tunguso', adottato in tempi moderni per le etnie estremorientali del Nord. Fra i primi Xi-ho apparsi all'orizzonte cinese, oltre i Qiang, figuravano i Rong e i Di. L'incursione dei Rong del 771 aveva provocato il ripiegamento dei Zhou verso le regioni orientali; i Di intensificavano le scorrerie dal 660 a.C. Gli stati cinesi costruivano cinte murarie e torri di guardia a scopi di difesa prodrome anche della Grande Muraglia, ma sperimentavano che non erano strutture resistenti all'impeto dei nomadi, mentre la difesa armata con carri e truppe appiedate reclutate fra contadini si dimostrava inefficace contro i veloci arcieri a cavallo. Cavallerie montate da arcieri erano quindi armate dai vari stati, alcuni dei quali reclutavano elementi nomadi nei loro corpi o li annettevano ai propri territori come guarnigioni di confine a difesa dalle irruzioni di altre popolazioni nomadi. Era inaugurata una strategia che rimaneva storica della Cina, pur con tutte le sue insidie: quella dell' i-yi fa-yi, "impiegare i barbari per attaccare i barbari". Ogni gruppo tribale che accettava di essere incamerato notificava la propria entità numerica: se il numero era elevato si formava uno shuguo, uno "stato soggetto" o "vassallo". L'attrazione dei barbari rientrava in una politica più ampia di "pace e parentela" (heqin), destinata a colonizzare estesi territori a popolamento nomade e semi-nomade. Nel 568, il 'ministro' dello stato di Jin, Wei Qiang, dopo avere piegato gruppi di Rong e Di, otteneva di sfruttarne le terre in cambio di monete e manufatti e contemporaneamente di sedentarizzare i nomadi, trasformandoli in coloni e combattenti. Per il 557, lo Zuo Zhuan riportava le seguenti parole dei Rong: …abbiamo tagliato ed estirpato gli arbusti spinosi, abbiamo cacciato le volpi e i lupi; siamo diventati sudditi dei vostri antichi capi, sudditi che mai hanno invaso le vostre terre e mai si sono rivoltati contro di voi. Molti secoli dopo, Wang Zhong (27-97 d.C.) confermava questo processo d'assimilazione scrivendo nel Lun heng: Il territorio degli antichi Rong e Di fa ora parte della Cina e l'antico popolo degli uomini nudi indossa ora vesti di corte, la gente dalla testa nuda porta ora cappelli e la gente dai piedi nudi calza ora le scarpe degli Shang. La terra sterile e pietrosa è stata trasformata in suolo fertile e i truci banditi sono diventati sudditi rispettosi delle leggi. La rudezza dei selvaggi è stata addolcita e i ribelli sono diventati gente pacifica.
La colonizzazione a vasto raggio aveva fatto dei singoli domini rigidi stati agrari. Le città-palazzo dei Zhou avevano continuato a esercitare una giurisdizione per mezzo di un apparato sacerdotale, burocratico e militare, con funzioni di controllo sul territorio e le attività di produzione e distribuzione. Con i Regni Combattenti la struttura economica aveva ormai in senso stretto solo un primo momento nell'agricoltura, benché questa rimanesse concepita l'unico effettivo fondamento dell'economia. La teoria politica sanciva con le "quattro classi" la coesione fra nobili (shi) e contadini (nong), contrapposti ad artigiani (kong) e mercanti (shang), terzi e quarti nell'ordine. Molta nobiltà terriera combatteva la nuova economia monetaria e di mercato, cercando di conservare i propri redditi rurali e mantenere la campagna come un mondo separato da quello delle città.
Le condizioni di vita avevano sollevato le prime grandi rivolte contadine almeno dai tempi del re Li (878-842). Solo le carestie e le catastrofiche inondazioni davano opportunità di fuga e affranca-mento. Gli abusi crescevano col formarsi delle grandi tenute e l'inasprirsi dei prelievi alla produzione. Rimaneva utopistica la teoria dei "campi a pozzo" (jingtian), legata al nome di Mencio (c. 372-298 a.C.), secondo la quale otto famiglie di contadini, beneficiarie ciascuna di un fondo, lavoravano in comune l'appezzamento centrale del proprio signore. Il principio teorizzato all'epoca degli Shang che il possesso della terra spettasse al re era divenuto obsoleto sotto gli Zhou con la formazione dei vasti possedimenti fondiari. Con gli Stati Combattenti, i regimi autocratici imponevano limiti ai patrimonî terrieri delle famiglie aristocratiche, requisendoli o emanando misure per ottenere la restituzione dei suoli dati in godimento fino a tre generazioni. La piccola tenuta o l'affittanza erano incoraggiate per la creazione di un contadinato che garantisse una base fiscale stabile e duratura. Era finanche statuito che la famiglia contadina fosse monocellulare e che un unico figlio maschio avesse diritto a permanervi in età adulta per la continuità del nucleo familiare. La schiavitù incombeva sui contadini insolventi o i cui redditi fossero giudicati inferiori alle stime. In stato di schiavitù cadevano, se catturati, coloro i quali, abbandonando campi e villaggi, erano classificati liu-min, "vagabondi". Discriminati i mestieri che non fossero rigidamente stanziali, pesanti controlli ed esazioni gravavano su artigiani e mercanti.
Già i vari potentati si erano dati proprie leggi. Alcune risalivano a norme familiari, consuetudinarie, che regolavano la vita dei gruppi dominanti nei rapporti con le categorie subalterne. L'allargamento delle grandi famiglie – tanto più forte nell'esteso regime poligamico vigente – determinava una progressiva impersonalità di relazioni e leggi univoche e d'applicazione generalizzata, esigenza nata dal gran numero dei gruppi gentilizi ormai coesistenti su un territorio, dai vari gruppi tribali assorbiti, dalle classi urbanizzate. Le concezioni del lecito e dell'illecito dettavano normative di comportamento la cui osservanza era premiata e la trasgressione punita. Le pene erano dure e avevano carattere repressivo, intimidatorio e di vendetta. Il principio della mutua responsabilità collettiva stabiliva già nel secolo VIII a.C., presso lo stato di Qin, la pena del cosiddetto "triplice sterminio" (san-i), per la quale erano passibili d'esecuzione capitale insieme col reo i membri della famiglia d'appartenenza fino al terzo grado di parentela a cominciare dagli avi. La pena era adottata anche da altri regni. Di mutue responsabilità rispondevano pure i gruppi di "vicinato", costituiti da cinque o dieci famiglie presso le comunità sia urbane sia rurali.
Dal periodo delle "Primavere e Autunni" (Chunqiu,770-476), così chiamato da un'opera che ne tracciava la storia ed era denominato anche da circa la metà del secolo VII periodo degli Egemoni (ba), le coalizioni dei "paesi centrali" dei Zhou avevano cominciato ad armare imprese anche contro i 'barbari' del Sud, cioè gli stati periferici che si erano costituiti fuori dell'assetto originario Zhou, in particolare Chu e Yue. Chu iniziava la sua espansione verso l'ovest, cioè lo Yunnan, e contro di esso marciava già nel 656 il re di Qi, passato alla storia come il primo degli "egemoni". Ancora per molti secoli gli stati della Cina centro-meridionale e meridionale dovevano essere considerati barbarici agli occhi del Nord. Erano paesi agricoli, in particolare di risicultori, competitivi col loro mercantilismo appoggiato a una forte organizzazione navale di trasporti marittimi e fluviali. Gli stati del Nord tentavano di conquistare il Sud o quanto meno di iscriverlo nella propria sfera di influenza; più tardi di contenerne i traffici e infine, di coinvolgerlo in alleanze. Si inaugurava l'epoca durante la quale erano teorizzate le cosiddette "alleanze in largo e in lungo": da un lato, le principali formazioni degli stati di Qin, Qi, Wei contro Chu e gli altri paesi meridionali, cioè l'Ovest e il Nord contro il Sud; dall'altro, gli stati di Qi, Wei, Chu, contro Qin, cioè il Nord e il Sud contro l'Ovest. Si scalfiva l'unione stessa dei "paesi centrali".
La "Cina" si espandeva intanto nel Nord-Est con lo stato di Yan, mentre gli stati di Han, Zhao e Wei, nati dalla divisione di Jin, finivano scompaginati e assorbiti da Qin. Questo guadagnava progressivamente su tutti gli stati. Per la posizione geografica nelle regioni occidentali della Cina, sì ben protetta, ma ai confini dell'area nomade, Qin, che aveva il suo centro nello Shaanxi a occidente della valle del Wei, si dava una compagine militare forte di una cavalleria di arcieri e schiere di carri e truppe appiedate su coscrizione obbligatoria, adottata pure da altri stati. Come armi delle fanterie adottava la balestra e la catapulta e per gli assedi impiegava macchine da guerra. Rafforzava quindi la difesa interna con la mobilitazione generale della popolazione in casi di assedi o invasioni: gli anziani per la sorveglianza del bestiame e la raccolta delle scorte; le donne per i trasporti e le opere di difesa; gli uomini validi per il combattimento. I gradi erano distinti non per ranghi di nobiltà, ma per meriti conseguiti sul campo; la dura disciplina poggiava su pene severe. La condanna a morte era comminata a chiunque si sottraesse alla mischia all'ultimo sangue.
Attraverso una politica di conquiste e annessioni di aree nomadi e seminomadi fra eccidi, incameramenti e deportazioni, Qin seguiva il principio delle guerre senza quartiere, evitando le schermaglie dissanguanti in cui erano impegnati periodicamente gli stati vicini. Dagli ultimi decenni del secolo IV, Qin scendeva in campo contro i regni superstiti: Zhao, Wei, Yan e Qi perdevano, nel 318, 82 mila uomini; Chu, nel 312, 80 mila; Han e Wei, nel 293, 240 mila; Wei, nel 274, 150 mila; infine, 400 mila uomini di Zhao erano passati per le armi nel 260, dopo essersi arresi con la promessa di aver salva la vita. È possibile che la storiografia esagerasse le cifre, ma gli eserciti di quegli stati ne uscivano effettivamente decimati.
Nel 288 il re di Qin si insigniva del titolo di Xidi, "Signore dell'Occidente", riconoscendo il sovrano di Qi come Dongdi, "Signore dell'Oriente". Sembrava che si concretizzasse l'accordo di una divisione della Cina in quattro "imperi" - con un Beidi, "Signore del Nord", il sovrano di Yan, e uno zhongdi, "Signore del Centro", il re di Zhao, quando quest'ultimo in persona accettava il consiglio di conferire il titolo di di al solo sovrano di Qin, che era ormai l'unico imperatore di fatto.
Dopo la caduta degli Zhou nel 256, la conquista definitiva dei vari regni da parte di Qin era compiuta fra il 230 ed il 221 a.C. Non erano solo vittorie sul campo, ma successi dello spionaggio, della propaganda, della diplomazia. Qin si valeva da più di un secolo di consiglieri capaci, di qualunque provenienza o estrazione fosse¬ro: Wei Yang, "signore di Shang", il mercante Lu Bowei, infine, Li Si, dello stato di Chu. Colpite le vecchie tradizioni gentilizie, il regno accettava realisticamente il contributo delle varie componenti, comprese quelle nomadi e seminomadi, con tutte le loro risorse sia agricole, sia d'allevamento di bestiame bovino sia di pastorizia. Per l'agricoltura consentiva la proprietà privata e la compravendita della terra, scoraggiando il latifondo. I redditi fiscali provenivano da tutte le attività, comprese quelle mercantili, con generi sotto regime di monopolio o su licenze commerciali.
Erano le anticipazioni dell'unificazione imperiale.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
15 aprile 2014
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