“Non è tutto oro quello che luccica”. Antiche saggezze nel cassetto che per quanto scontate ritornano in auge oggi più che mai quando ci si avventura nel mondo libero delle criptovalute senza capirne la logica e gli annessi rischi, quando si cavalca l’onda dei nuovi trend in una corsa sfrenata al guadagno veloce ma senza conoscerne la direzione.
Metafore a parte ed ad onor del vero, le cryptocurrency non sono (tutte) ingannevoli di per sé, come non tutte sono uguali e con lo stesso utilizzo: le più famose Bitcoin ed Ethereum, ad esempio, hanno tecnologie, ambiti di utilizzo e potenziali straordinari molto differenti l’una dall’altra.
Informarsi, navigando attraverso la fitta nube di fake news e notizie a metà, rimane l’arma principale per non cadere nell’errore che spesso porta a fomentare goliardiche iniziative come quella del DogeCoin, la moneta nata per scherzo da un meme che è arrivata a 2 miliardi di dollari di market cap, e che rappresenta la perfetta parabola dei giorni nostrani su cui riflettere.
La moneta digitale che porta il nome (e la faccia) dello shiba inu tanto caro a Internet, nasce nel 2013 come contro altare tragicomico dell’allora già famoso Bitcoin, dall’inventiva di Jackson Palmer, co-fondatore della moneta ed ai tempi PM per Adobe, il quale agli inizi utilizzò DogeCoin per finanziare interessi goliardici e cause benefiche. DogeCoin prende poi una piega differente alle soglie del 2015 quando, complice il prezzo in millesimi di dollaro della cryptovaluta, il mercato speculatore inizia a seguire ed investire con interesse nella moneta digitale. Una svolta che nessuno si aspettava tanto che lo sviluppo del progetto viene abbandonato proprio quell’anno. L’argomento torna alla ribalta recentemente quando a fine 2017 il valore del DogeCoin, ormai più o meno stabile da due anni, cresce esponenzialmente capitalizzando 2 miliardi di euro come conseguenza di una crypto mania che buona parte dell’anno passato ha indiscriminatamente investito in ogni sorta di moneta digitale, senza curarsi di accertarsi o meno della sostenibilità delle stesse.
In una recente intervista su Bloomberg a fine gennaio 2018, Palmer con un po' di orgoglio e un po’ ridendosela parla del fenomeno DogeCoin e dei suoi “blind investors” che spinti dalla fretta di investire “in the next big thing” non fanno alcun tipo di due diligence sul prodotto in cui investono.
“DogeCoin nasce come un gioco ed è importante che rimanga tale”, continua poi Palmer interrogato sul drastico calo del valore della moneta (oggi vale 740 milioni USD) qualche giorno dopo aver raggiunto il picco dei 2 miliardi. “Se una moneta digitale che non viene sviluppata da oltre 2 anni riesce a raggiungere certi picchi senza fare nulla questo è il simbolo di un processo sbagliato che dovrebbe alzare l’asticella dell’attenzione di tutti quando si parla di criptovalute”.
Ma non finisce qui: l’unica cosa che, probabilmente, Palmer non aveva previsto era l’arrivo del nuovo anno cinese sotto il segno del Cane: anche se la Cina è in corsa per bloccare ogni forma di mining, ICO e transazione in crypto, DogeCoin sembra essere tra gli acquisti favoriti di questa festa lunare. A fomentarne l’effetto bolla una vastissima community cinese di DOGE-狗狗币 lovers pronta in queste settimane ad acquistare, vendere e scambiarsi DogeCoin al prezzo di 1$ come buon auspicio per il nuovo anno. Conti alla mano DogeCoin si è già apprezzata, nelle ultime ore, del 15% con previsioni “lunari” nei prossimi giorni.
In sintesi, il fenomeno DogeCoin può essere preso ad esempio e definito come la cartina torna sole della preoccupante disinformazione degli investitori nei confronti del più vasto mondo delle criptomonete o è solo un fenomeno a sé stante?