Ricorderò sempre il negozio di fronte a casa mia a Pechino, sulla porta anziché scrivere “PUSH” per spingere c'era scritto “PUSN”. Così come non dimenticherò mai i locali chiamati “BAB” anziché “BAR”. Il Chinglish, ovvero il nuovo miscuglio nato dall'unione di inglese e cinese, da spesso motivo di sorridere agli stranieri e gli fa immediatamente notare come la confusione tra caratteri cinesi simili, sia condivisa anche dai mandarini nei confronti del nostro alfabeto, per quanto notevolmente più semplificato del loro.
Il Chinglish, quello che a noi fa sorridere, purtroppo non sta così simpatico al governo, che ha già infatti preso provvedimenti per impedire la sua diffusione, insieme agli acronimi stranieri come NBA o GDP, o linguaggi giovanili come la Lingua dei Marziani. Questo avviene non solo per impedire la formazione di linguaggi che possano prendersi gioco della censura governativa, ma soprattutto per limitare l'influenza crescente della cultura occidentale. Un'azione che ha visto seri provvedimenti anche all'interno delle università, arrivando a rimuovere numerosi testi occidentali dalle librerie e dai programmi.
La Cina vanta il più grande impianto censoreo della storia umana, e lo sta potenziando. La Grande muraglia digitale conta oltre 2 milioni di addetti e un sistema automatico di rilevamento e blocco dei siti, delle parole o dei contenuti sensibili. Questo non significa che i cinesi non possono esprimere il proprio dissenso, il blocco interviene solo quando un determinato malcontento diventa collettivo. Al tempo stesso bastano dei software VPN per aggirare la Grande muraglia, ma anche la loro diffusione è sempre più limitata.
Oggi la censura ha incrementato i suoi sforzi contro grandi testate internazionali, contro account social privati, e persino contro le lettere dell'alfabeto e i cartoni animati. Winnie the Pooh, per esempio, è stato più volte utilizzato per rappresentare il presidente e deriderlo per le somiglianze fisiche. L'ultima volta è avvenuta qualche giorno fa, raffigurando Pooh travestito da re con i servitori intorno, subito la proposta annunciata dal Comitato Centrale del Pcc di eliminare dalla Costituzione cinese il limite dei due mandati per il presidente, che - se ratificata dall'Assemblea Nazionale del Popolo - renderà Xi il primo presidente dopo Mao a regnare per più di dieci anni. Come riportato dal New York Times, lo stesso avvenimento ha condotto alla censura della lettera N, impedendo l'espressione di dissenso persino attraverso il linguaggio matematico (N>2), per cui la N rappresenta il numero di mandati del presidente. Al tempo stesso sono stati bloccati dalla ricerca termini come “mio imperatore”, “per tutta la vita” o “senza vergogna”.
Infatti, negli ultimi tempi non è solo aumentata l'insofferenza nei confronti della libertà di espressione e di stampa, ma si è avviata una crescente centralizzazione del potere nelle mani del presidente. Da qualche anno la campagna anticorruzione si è preoccupata di ridurre il fazionalismo interno al partito, si son mosse iniziative per contrastare la diffusione di Ong o per far figurare gli studenti stranieri come possibili spie, mentre la popolarità di Xi è schizzata alle stelle attraverso azioni di marketing che hanno coinvolto cantanti, artisti, fumettisti e persino un app che funge da Nuovo Libro Rosso digitale, con le migliori citazioni del Nuovo Grande Timoniere.
Ma cosa significa questa crescente presa di posizione autoritaria? Secondo rinomati studiosi come Fukuyama, la Cina necessità di maggiore centralizzazione perché ancora in fase di sviluppo, nel tentativo di accrescere la classe media, ridurre le enormi diseguaglianze e consolidare la posizione internazionale, al contrario di paesi già avanzati che invece necessitano di maggiore decentralizzazione per gestire la crescente complessità. Altri studiosi come Shambaugh invece prevedono il collasso del sistema sulla scia degli altri governi Neo-leninisti.
Tuttavia, la Cina si rivela un eccezione in entrambi i casi, in quanto si ritrova davanti ad un livello di complessità che è già elevato rispetto a numerosi paesi “sviluppati” e ha dimostrato un'enorme resilienza grazie ad un sistema di successione e di leadership collettiva all'interno di un quadro di frammentazione istituzionale che ha permesso: il germogliare della società civile e della classe media; la crescita dell'iniziativa privata e plurale; la stabilità governativa nonostante la successione. Cose quasi impensabili in tutti gli altri sistemi neo-leninisti.
Per questo una tale imposizione autoritaria potrebbe in realtà accrescere la fragilità del paese anziché rafforzarlo come appare, perché stiamo assistendo al graduale smantellamento di quei fattori che secondo gli studiosi hanno garantito la resilienza del Partito nonostante le enormi crisi socio-economiche e le nefaste previsioni. L'analisi di strumenti come il Fragile State Index in parte conferma questa tendenza e i dibattiti interni all'opinione pubblica e il partito ne sono coscienti. La Cina necessità di maggiore pluralità per gestire la crescente complessità del sistema, ma sembra stia facendo di tutto per ritardare il processo.