Si stringe sempre di più il legame tra Turchia e Somalia. Non è da oggi, ma l’offerta somala di avviare operazioni di ricerca di petrolio al largo delle sue coste è una proposta che non si può rifiutare. E il sultano turco, Recep Erdogan, non ha rifiutato. “La Somalia ci ha fatto un’offerta, ci ha detto: c’è petrolio nei nostri mari e visto che farai operazioni di questo tipo in Libia, puoi farle anche qui. Questo è molto importante per noi”, ha spiegato Erdogan, pertanto avvieremo passi in questa direzione”.
Questo, possiamo dire, è l’ultimo tassello dell’espansionismo turco in Africa. Una sorta di politica neo-ottomana che si è vista anche nel recente viaggio del presidente turco in tre paesi africani: Algeria, Gambia (la sua prima volta) e Senegal. Ma è la Somalia, oltre alla Libia, dove Erdogan intende sfruttare la sua influenza. Non a caso la più grande ambasciata turca in Africa è proprio a Mogadiscio, così come la più grande base militare all’estero di Ankara. Una struttura costata 50 milioni di dollari, grande più di 4 chilometri quadrati.
Un’amicizia iniziata nel 2011 - Erdogan è stato il primo premier non africano a sbarcare in Somalia dopo 20 anni – e che non è certo disinteressata vista la posizione strategica del Paese, non solo per il suo petrolio ma, forse soprattutto, perché si affaccia sul Golfo di Aden. Su quello specchio d’acqua si affannano molte potenze straniere – dalla Cina agli Stati Uniti, dall’Arabia Saudita a molti paesi europei – e la Turchia non vuole essere da meno.
È uno specchio d’acqua fondamentale per prendersi un posto di prestigio al tavolo delle potenze internazionali. Ed Erdogan, in questo, non è secondo a nessuno. Usa in maniera abile e spesso spregiudicata anche l’arma religiosa come fattore identitario e che accumuna diversi popoli africani. La Somalia è interamente musulmana. Ma anche nel recente viaggio in Gambia ha inaugurato una moschea e diverse scuole finanziate dall’Agenzia di cooperazione e di sviluppo turca (Tika) che ha come missione principale quella di promuovere investimenti nei paesi in via di sviluppo.
Il sultano, inoltre, vuole issare la sua bandiera un po’ in tutte le capitali africane. Dal 2009 a oggi le ambasciate turche in Africa sono passate da 12 a 40 – come scrive Gianni Ballarini su Nigrizia.it -. Ma a fare la differenza sono gli investimenti e gli scambi commerciali della Turchia con l’Africa che sono passati dai 5,4 miliardi di dollari nel 2003 a 26 miliardi di dollari nel 2019, con l’obiettivo di raggiungere i 50 miliardi entro il 2023.
Non è un anno a caso: rappresenta il centenario della fondazione della Repubblica turca. Tutto ciò è il frutto del lavorio costante di Erdogan. Un lavoro che parte da lontano. Già nel 1998 Ankara ha avviato il suo piano di espansione in Africa, che Erdogan ha perseguito con insistenza a partire dal 2003 – inizio del suo mandato da premier – e che ha avuto nel 2008 il suo culmine quando l’Unione africana ha dichiarato Ankara partner strategico del continente.
L’ultimo viaggio africano ha avuto l’intento di rafforzare la politica di Erdogan in Africa. Ad Algeri il sultano di Ankara ha chiesto il sostegno al suo impegno libico, ma senza grande successo. La Costituzione algerina impedisce interventi militari all’estero. Il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune ha mantenuto una posizione equidistante.
In Gambia, invece, è stata tutta un’altra storia. Il presidente gambiano Adama Barrow ha confermato la cooperazione tra i due paesi con toni trionfalistici: “I vari atti firmati, specialmente durante la mia ultima visita ad Ankara dimostrano l’alto livello di cooperazione tra le nostre due nazioni. Il mio governo ha il vostro sostegno per sviluppare la capacità delle nostre forze di sicurezza addestrando 500 ufficiali per il mantenimento della pace”.
E anche in Senegal il sostegno alla politica di Erdogan è stato totale. Molti politici senegalesi hanno sottolineato le “affinità culturali, sociali e religiose tra i due paesi”, ma l’obiettivo vero è quello di aumentare il volume degli scambi commerciali portandolo a 400 milioni di dollari. Che sia o meno una politica neo-ottomana, il sultano di Ankara - nuovo attore sullo scacchiere continentale - gode del favore delle leadership africane.