Si riapre la pista somala. Silvia Romano, rapita in Kenya il 20 novembre 2018 a Chakama, villaggio a 80 chilomeri da Malindi in Kenya, potrebbe essere stata portata in Somalia. Il passaggio di mano, ipotizzato dagli inquirenti a metà gennaio, potrebbe essere avvenuto tra la banda di rapitori e un’altra organizzazione criminale vicina a bande jihadiste.
Un’ipotesi, questa, avvalorata dalla modifica del capo di imputazione per i presunti esecutori del rapimento della giovane italiana. Il pubblico ministero, Alice Mathangani, questa mattina alla ripresa del processo davanti alla Corte di Malindi, ha proposto di estendere anche ai primi due componenti della banda, Moses Luwali Chembe e Abdalla Gababa Wario, l’accusa di terrorismo che, invece, era già stata formulata nei confronti di Ibrahim Adan Omar, l’uomo trovato in possesso di armi che potrebbero essere state utilizzate dai criminali che hanno rapito la giovane volontaria italiana.
Un fatto che potrebbe rivelarsi determinante per il prosieguo delle indagini. Da indiscrezioni, inoltre, si apprende che questa ipotesi è emersa durante un nuovo incontro tra gli investigatori italiani e quelli keniani che continuano ad operare congiuntamente sul territorio del paese africano. Nelle prossime settimane è in programma un nuovo incontro tra investigatori dopo quello avvenuto nei giorni scorsi durante il quale le autorità kenyane hanno messo a disposizione del team di inquirenti italiani documenti, verbali e tabulati telefonici.
Il giudice della Corte, Julie Oseko – come scrive il portale degli italiani in Kenya, malindikenya.net – si è riservata di accettare il cambio dei capi di imputazione il prossimo lunedì 2 settembre, dove aver preso visione delle motivazioni. Quest'ultimo, inoltre, sembra essere un passaggio formale, il giudice dovrebbe accogliere la proposta del pubblico ministero, anche perché oggi ha ordinato la sospensione della libertà vigilata per Moses e Adan, riportando i due in carcere.
Il giudice ha motivato la decisione, proprio partendo dal cambio del capo di imputazione, spiegando che i due potrebbero costituire un pericolo per la sicurezza nazionale, come spiega malindikenya.net, ed influenzare in un qualche modo i testimoni che verranno ascoltati nelle prossime udienze.
La richiesta del pubblico ministero di chiedere il cambio del capo di imputazione, sarebbe sostanziata da nuove testimonianze e dalle dichiarazioni rese dagli accusati riguardo alla presunta cessione di Silvia Romano ad un’altra organizzazione criminale che, secondo gli inquirenti, sarebbe avvenuta intorno alla metà di gennaio.
Questo fatto nuovo, l’accusa di terrorismo, può aprire nuovi scenari sulla vicenda del rapimento della giovane italiana. Potrebbe aprirsi, il condizionale è d’obbligo, la pista somala. O, quanto meno, il fatto che la banda a cui sarebbe stata ceduta Silvia potrebbe avere legami con gruppi jihadisti.
Occorre sottolineare, tuttavia, che nell’area dove sarebbe stata portata la giovane volontaria italiana, cioè a nord del fiume Tana, verso il confine con la Somalia, operano e si nascondono gruppi terroristici legati agli al Shabaab somali.
La pista somala, però, dagli inquirenti keniani era stata sempre scartata perché sostenevano di aver sigillato il confine somalo e quindi reso impossibile un passaggio di mano o un suo trasferimento a una organizzazione criminale che opera in Somalia. La proposta formulata oggi del pubblico ministero durante il processo davanti alla Corte di Malindi, potrebbe riaprire questo scenario.
Lunedì prossimo, quando si conosceranno le motivazioni, si potrà capire molto di più anche perché, secondo indiscrezioni, ai 17 testimoni che dovranno essere sentiti nelle prossime udienze – lunedì il giudice definirà anche il calendario delle stesse – ce ne sarebbero di nuovi e determinati. Quelli che hanno portato il pubblico ministero a riformulare il capo di imputazione per i tre membri della banda che ha rapito Silvia Romano.