Mosca vuole tornare a essere una protagonista indiscussa in Africa anche dal punto di vista commerciale ed economico, con intenti bellicosi nei confronti di Cina e Stati Uniti. Ma per fare ciò ha rafforzato, innanzitutto, la sua presenza militare. Un obbligo dettato dal fatto che la Cina ha già messo gli “scarponi” sul terreno attraverso le missioni di peacekeeping. I caschi blu cinesi, tuttavia, dispiegati in Africa – circa 2500 - sono concentrati nelle aeree di particolare interesse per Pechino. Non è un caso che mille di questi siano in Sud Sudan dove la Cina ha investito molto nel petrolio e altri 400 in Mali.
In attesa che si realizzi il centro logistico in Eritrea, il Cremlino ha messo le basi del suo centro strategico militare a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Consiglieri e militari russi affollano il Centrafrica. A una sessantina di chilometri dalla capitale, proprio sull’ex residenza del dittatore Jean-Bedel Bokassa, sventola la bandiera russa. Essere nella Repubblica Centrafricana non è solo una questione strategica per la centralità del paese, ma anche simbolica. Non si può dimenticare che Bangui è un’ex colonia francese, dove Parigi ha sempre avuto una presenza militare significativa. Fino agli anni Novanta, oltre 1200 uomini stazionavano proprio a Bangui e in altre città del Paese.
I fari russi sul continente
La Francia ha progressivamente abbandonato il paese, gli americani hanno acceso i riflettori, ma la Russia ha avuto la meglio. Mosca, nei fatti, attraverso l’utilizzo del veto in senso al Consiglio di Sicurezza, ha stoppato Parigi che era intenzionata a fornire armi al Centrafrica, per poi chiedere all’Onu di allentare - una sorta di deroga - l’embargo imposto al paese nel 2013. Una mossa spregiudicata che ha avuto un esito positivo grazie ai colloqui di Sochi tra il presidente centrafricano, Faustin-Archange Touadéra, e lo Zar di Mosca.
Bloccata l’offerta di aiuto francese, il Cremlino entra nel paese dalla porta principale con un bel quantitativo di armi. E quella di Bangui diventa la base strategica per Mosca. Tutto è noto, ma tutto deve rimane segreto. Non è un caso che due giornalisti russi che si sono recati a Bangui per indagare, non solo sulla vendita delle armi, ma anche sulla presenza di numerosi mercenari del loro paese, siano misteriosamente morti.
Tutto ciò si è tradotto in una significativa fornitura di armi al regime di Bangui per equipaggiare il nuovo esercito centrafricano (Faca), in lotta contro i ribelli dopo il colpo di stato del 2013. La prima consegna di armi e munizioni risale al 26 gennaio del 2018. L’altro contributo di Mosca riguarda l’addestramento di due battaglioni dell’esercito centrafricano, in tutto 1300 uomini.
Non solo. Una quarantina di uomini delle forze speciali russe assicurano la guardia ravvicinata del presidente Toudéra, ufficialmente sempre nell’ambito del mandato della missione di formazione e sicurezza tra Bangui e Mosca. Non a caso, fonti della presidenza centrafricana - visto anche l’acuirsi delle tensioni nel paese e il conseguente rafforzamento della sicurezza – definiscono i russi, “con i quali abbiamo avviato una cooperazione militare, come i più idonei”.
Le armi russe fanno gola
L’arrivo in Centrafrica rappresenta, dunque, uno spartiacque per Mosca. Le armi russe, tuttavia, fanno gola un po’ a tutti: Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mauritania hanno recentemente lanciato un appello a Mosca perché aiuti le loro forze di sicurezza a combattere il terrorismo. Tutto ciò piace molto al Cremlino e preoccupa enormemente l’occidente che sta perdendo posizioni strategiche. La Cina è entrata in Africa investendo miliardi per accaparrarsi le risorse, per poi tenere in pugno i paesi africani attraverso il debito e, infine, mettere gli scarponi sul terreno. L’opzione di Mosca, invece, è stata quella di rafforzare la presenza militare per poi passare all’incasso, anche in termini di risorse naturali.
L’interesse militare si giustifica, inoltre, con il fatto che il Cremlino è consapevole della sua marginalità nei mercati africani e di non poter competere con l’espansionismo cinese. Le armi, quelle vere, per Mosca, tuttavia, funzionano ancora. Ma è del tutto evidente che l’aiuto militare è subordinato, nel futuro, ad avere un ruolo anche nello sfruttamento delle materie prime. Non a caso il paradigma di collaborazione con l’Unione africana mira a migliorare i rapporti esistenti, rafforzare i legami diplomatici e aumentare la sua presenza economica nel continente, per avvicinarsi agli elevati livelli di scambi commerciali che già caratterizzano Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Turchia, Europa e Stati Uniti. La retorica di Putin, che definisce la sua agenda per l’Africa “positiva”, si contrappone, a detta sua, ai “giochi geopolitici” degli altri, spiegando che la Russia non è interessata a depredare la ricchezza dell’Africa, ma a lavorare a favore di una cooperazione “civilizzata”.
Rimane il fatto che Mosca - non potendo contare sulla capacità finanziaria delle monarchie del Golfo, ma nemmeno di Asia e Cina - ha firmato accordi di cooperazione in materia di sicurezza con 24 Paesi africani e fornisce armi, hardware militare e addestramento. Ora è il primo fornitore di armamenti controllando il 35% del mercato locale davanti a Cina, Stati Uniti e Paesi europei. L’ultimo, in ordine di tempo, è l’accordo firmato con il Niger.
Questo è lo sfondo nel quale si apre il vertice di Sochi tra la Russia e il continente africano. Un summit che consoliderà gli investimenti russi in settori strategici, quello energetico, delle materie prime e militare. Verranno rafforzati gli accordi in tema di nucleare con numerosi paesi e quelli dell’estrazione dei metalli pregiati usati per la produzione di tecnologia avanzata e di precisione. Non è, inoltre, da trascurare, la presenza in Namibia dove la Russia è impegnata nell’estrazione dell’uranio e in Angola nel settore diamantifero.
Da qui, dall’Africa, Putin vuole ripartire per lanciare la sua sfida e tronare a vantare il ruolo di potenza mondiale.