Un selfie è per sempre. Motto mutuato dalle pubblicità dei diamanti. Ma io non ci credo. Dopo tutti gli embarghi contro i blood diamond e i trattati come quello di Kimberley ma, soprattutto, dopo quasi trent’anni di viaggi in Africa io ancora non mi fido. Il diamante per sempre diventa protagonista quando viene infilato al tuo dito. Fino a quel momento il suo valore è relativo.
Molto relativo se pensiamo a quelle migliaia di uomini, donne e bambini, molti bambini, che lavorano nelle miniere per estrarre quei preziosi diamanti dalle viscere della terra, scavando a mani nude. Quel diamante, per loro, ha solo il valore dello sfruttamento e di una misera paga. Quel diamante ha acquista valore e senso solo quando raggiunge i maestri tagliatori di Anversa, le mani di qualche ricca signora. Io non mi fido. Nessuno può dirmi con certezza che quel gioiello non sia il frutto dello sfruttamento o del sangue che ha bagnato la terra d’Africa, per finanziare qualche guerra. Nessuno.
Il selfie è per sempre. Anche qui ho tanti dubbi. Non credo riesca a restituire la memoria di un viaggio, di un incontro. Quel selfie, ovunque tu l’abbia fatto, in qualsiasi luogo tu l’abbia scattato, vedrai sempre la stessa cosa: tu in primo piano. Tu il protagonista, la realtà sullo sfondo a corollario, mai al centro. Quale memoria ti può restituire un selfie? Di certo si perde di vista la realtà.
Come nel selfie diventato virale, e i commenti tutti uguali che ne sono seguiti, dei guardiaparco con i gorilla di montagna nel parco dei Virunga nella Repubblica democratica del Congo. In quel caso in primo piano c’è il guardiaparco, protagonista della lotta al bracconaggio che sta decimando le famiglie di gorilla di montagna, animale straordinario in via di estinzione. Eppure i commenti hanno riguardato i gorilla che si sono messi in posa alle spalle del guardiaparco. Messi in posa come esseri umani. La realtà, i gorilla e il parco dei Virunga, sono rimasti sullo sfondo. Cosa rimarrà di quel selfie? Poco o nulla.
Quei gorilla, anch’io, nel corso di un mio viaggio in Congo ho avuto il privilegio, lo straordinario privilegio di poterli incontrare. Una famiglia di 14 elementi, chiamata dai guardia parco Kwitonda. Sono passati 16 anni da quel giorno. Da quell’ora che ho trascorso con loro, in apnea per la meraviglia. Nessun selfie. Solo qualche foto (con una macchina analogica) senza nemmeno pensare ai tempi di scatto o al diaframma da aprire o chiudere.
Non sapevo, in quel momento, se qualche foto sarebbe stata degna di quel nome. Non lo sapevo e non mi importava, tanta era la meraviglia che mi stava investendo. Il ricordo, tuttavia, mi si è fissato nella mente. In maniera indelebile, lo ricordo come fosse ieri. In quegli istanti mi sono trovato ad essere dominato dalla natura. Non ero io il protagonista. Un pensiero che non mi ha più abbandonato. Lì ho incontrato i gorilla di montagna.
Incontrare è la parola giusta, non vedere. Entri nella foresta vergine, facendoti largo con il machete, aspetti un segnale, un richiamo che i guardiaparco sanno bene distinguere. I gorilla ti trovano e l’incontro fa tremare le gambe. Loro davanti a te, a pochi metri, ti guardano, i piccoli vorrebbero giocare. Il dominante, il Silver Bach, invece, non si cura nemmeno della tua presenza. Lui è quello che comanda. Comanda anche te. Ti tremano le gambe quando un gorilla si appoggia al tronco di un albero, incrocia le braccia, e ti guarda, come se volesse entrare in relazione con te. Lui nel suo mondo, nella sua realtà, tu, invece, l’intruso.
Sono istanti indimenticabili, che nessun selfie ti può regalare e restituire. Nel selfie l’intruso diventa il protagonista. Ti tremano le gambe, ma non è paura, è piuttosto meraviglia e stupore per essere entrato in relazione con un altro essere vivente e a casa sua. La natura ha deciso di renderti partecipe della sua bellezza. Bastava lasciarla fare. Era così semplice, fin troppo. E l’immagine che più mi è rimasta impressa nella memoria è quella di un gorilla che dall’alto di un albero, sbucando dalla chioma verde, fa da sentinella a protezione della sua famiglia e del suo habitat. E di quel viaggio conservo ancora, quasi fosse una reliquia, una piccola scultura che raffigura il Silver Bach, regalatami da una associazione di pigmei, gli abitanti della foresta, che si occupa della salvaguardia del parco e dei suoi straordinari padroni, i gorilla.
In Africa sono gli incontri semplici, quelli che ti sembrano essere tra i più insignificanti, che cambiano e lavorano in silenzio, modificando l’approccio a questa straordinaria terra. Nessun selfie ti restituisce quella realtà perché in primo piano, che tu lo voglia o no, ci sarai sempre tu e non quella terra meravigliosa che si chiama Africa.