Il conto alla rovescia verso l’inattesa scadenza elettorale keniota determinata dalla Corte Suprema del Paese che ha annullato il voto dello scorso 8 agosto, volge al termine: il 26 ottobre il Paese torna alle urne per eleggere il presidente della Repubblica del Kenya.
La macchina elettorale è stata avviata, i seggi sono predisposti, le schede dove i cittadini esprimeranno la loro scelta sono state stampate e distribuite, il governo ha stanziato le risorse necessarie per svolgere questo enorme esercizio democratico, ma ancora nessuno può dire per certo se si voterà.
L’incertezza regna nel Paese e non è nemmeno certo che si voti. E proprio su questo abbiamo raccolto la testimonianza di Tommy Simmons, fondatore di Amref Italia, che vive parte del suo tempo in Kenya. “Il presidente uscente Uhuru Kenyatta – spiega Simmons - il governo emerso dalle elezioni del 2012, la nuova e schiacciante maggioranza parlamentare delle forze governative confermano anche oggi che il voto ci sarà e che il governo e le forze dell’ordine garantiranno questo diritto costituzionale. Il leader dell’opposizione Raila Odinga e i suoi principali alleati ribadiscono che non si recheranno alle urne e che domani spiegheranno come mai il voto evidentemente non potrà avere luogo. I loro sostenitori protestano e manifestano, a macchia di leopardo, in varie città del Paese. Dopo le dimissioni immediate di un membro della Commissione Elettorale - e la sua fuga negli Stati Uniti a seguito delle minacce ricevute - anche il presidente della Commissione Elettorale ha affermato che il Paese non è pronto a votare, e che non sussistono le condizioni pratiche e politiche per garantire una elezione in linea con i dettami della Costituzione. Cinquanta diplomatici internazionali caldeggiano un rinvio del voto per evitare il rischio che la dialettica politica precipiti nell’abisso della violenza politica ed etnica”.
Sono in molti, tuttavia, a ritenere che andare al voto possa far piombare il Paese in una crisi politica e costituzionale senza precedenti. Da più parti, infatti, si levano voci, rivolte al presidente uscente Kenyatta, affinché rinvii il voto e affronti i nodi costituzionali che l’invalidazione del voto dell’8 ottobre ha creato. Sono in molti a pensare che votare il 26 ottobre significhi proteste, manifestazioni, incidenti, morti.
Ma Kenyatta non sente queste voci, così come non sente quelle dei leader religiosi che invocano la pace sociale, quelle delle “donne che in corteo pregano per la stabilità; tutti, ma soprattutto i più poveri che più patiscono della crisi economica risultata dalla crisi politica – prosegue il fondatore di Amref -, desiderano più che altro il ritorno alla normalità. Da oggi le scuole del Paese sono ufficialmente chiuse fino a gennaio, da domani quasi tutte le attività commerciali, amministrative, sociali, chiuderanno almeno fino a lunedì”.
“Forse si voterà e in assenza di un’opposizione – conclude Simmons - il presidente Kenyatta formalmente vincerà con la maggioranza plebiscitaria di quella parte di elettorato andata alle urne. Forse si troverà un accordo politico tra le parti prima di dopodomani; forse la Commissione Elettorale annullerà le elezioni per motivi tecnici. Forse ripartiranno gli scontri etnici nelle strade. Forse dopo l’eventuale voto l’opposizione si appellerà nuovamente alla Corte Suprema. Forse il conto alla rovescia che tutti in Kenya stanno facendo per conoscere il destino immediato del Paese e le prospettive delle singole famiglie dovrà ricominciare nell’ottica di nuove scadenze. Lo potremo capire solo col senno di poi”.