La salute è un diritto garantito nel mondo occidentale. In Africa è ancora un privilegio per pochi. Nonostante gli impegni presi a livello globale, nell’ambito delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione mondiale della sanità, la copertura sanitaria in Africa, e nell’Africa sub sahariana in particolare, è ancora un miraggio. Secondo la Nazioni Unite, l’Africa detiene solo il 3% del personale sanitario mondiale, nonostante abbia gran parte del carico delle malattie del mondo. Ma non solo. Le malattie, che in gran parte del mondo sviluppato sono “prevenibili”, in Africa oltre che a essere molto diffuse, sono ancora causa di morte. In questo quadro si tiene, a Nairobi in Kenya, la Conferenza Internazionale sull’Agenda della salute in Africa, organizzata da Amref Health Africa, Contea della citta’ di Nairobi e ministero della Salute. Un simposio che intende definire strategie capaci di raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile per l’Africa.
Numero di medici 100 volte sotto la media occidentale
La salute è considerata un aspetto chiave dello sviluppo umano ed economico. Se questo è vero nel mondo sviluppato, non lo è altrettanto in Africa. E i numeri non tradiscono. Il sistema sanitario pubblico in Guinea, Liberia e Sierra Leone - i tre Stati più colpiti dall’emergenza Ebola - già prima della crisi, era debole e fragile: 4,5 medici ogni 100mila abitanti. La media italiana e’ di circa 376 medici ogni 100mila abitanti. E, nonostante la debolezza del sistema, l’accesso all’assistenza sanitaria è limitato dalla capacità di pagamento dell’individuo. In Kenya una percentuale enorme di famiglie povere non può permettersi l’assistenza sanitaria. Circa 4 keniani su 5 non hanno accesso all’assicurazione medica, con l’inevitabile esclusione di una fetta importante della popolazione dai servizi sanitari di qualità. Uno scenario replicabile in tutta l’Africa sub-sahariana, con l’eccezione del Ruanda che ha il 90% della copertura assicurativa sanitaria, superando anche gli Stati Uniti. Questo scenario fa comprendere come le malattie infettive, come Hiv, malattie diarroiche, malaria e tubercolosi, siano la principale causa di morte, con percentuali, ancora oggi, allarmanti. Le malattie infettive sono la causa del 40% dei decessi nei Paesi in via di sviluppo, l’1% in quelli industrializzati. Nell’Africa sub sahariana l’Hiv è ancora la prima causa di morte: 11,5%, e il 70% dei nuovi casi si sono verificati in Africa sub sahariana. La stessa regione detiene ancora l’89% dei casi di malaria e il 91% dei decessi a livello mondiale. Il 95% dei decessi dovuti alla tubercolosi si verifica nei Paesi a reddito basso e medio basso.
Metà popolazione ha meno di 2 dollari al giorno
Nell’indice di Sviluppo Umano 2014, gli ultimi 17 posti della classifica sono tutti occupati dai paesi dell’Africa sub sahariana, un contesto complesso in cui il 50% della popolazione, mediamente, vive sotto la soglia di povertà, cioè con meno di 2 dollari al giorno. Questo significa, per essere ottimisti, che la metà della popolazione non può permettersi cure sanitarie adeguate, perché la sanità in Africa si paga e l’accesso non è garantito alle fasce povere della popolazione. Nella conferenza di Nairobi si parlerà di tutto questo, ma soprattutto ci cercherà di individuare soluzioni che possano portare a livelli accettabili l’assistenza sanitaria. Un modello che verrà discusso è quello delle partnerships pubblico-privato, ritenuto da molti come determinate per colmare le lacune nel finanziamento della salute. Meno di 10 paesi dell’Africa sub sahariana, infatti, hanno raggiunto gli obiettivi della dichiarazione di Abuja del 2001, impegnandosi a destinare il 15 per cento della loro spesa pubblica annua all’assistenza sanitaria. Accanto a questo, tuttavia, occorre che vi sia una forte volontà politica del pubblico. Un esempio di volontà politica, in questo settore, è rappresentato dall’Etiopia, che è diventata un punto di riferimento per la strategia degli operatori sanitari di comunità in Africa. Politiche che sono riuscite ad ottenere risultati apprezzabili nella prevenzione delle malattie e nelle cure primarie. Se l’Etiopia può essere un modello è altrettanto vero che non si può ridurre tutto alle partnership, per una semplice ragione: molti paesi africani sono ricchi, molto ricchi, i soldi ci sono e prendono altre strade rispetto a quelle del servizio pubblico, di cui la salute è un bene primario. E ciò avviene nei Paesi che hanno a disposizione un’enorme ricchezza in termini risorse naturali, come l’Angola (circa 2 milioni di barili di petrolio al giorno, popolazione 21 milioni) o la Nigeria ( 1,75 milioni di barili giorno, popolazione 173 milioni), ma anche il Gabon (234mila barili giorno, popolazione 1,7 milioni) e la Repubblica del Congo (circa 300mila barili giorno, popolazione 3,8 milioni). Questi Paesi sono agli ultimi posti, nonostante che, se lo volessero, potrebbero dotarsi di welfare pari, se non superiori agli standard europei. I servizi di base, spesso, sono garantiti da organizzazioni non governative internazionali o da istituti missionari. Ma la bontà, fino ad ora, non è riuscita a fare la differenza in Africa.