Nel 2050 un bambino su 13 nel mondo sarà nigeriano, un abitante su quattro sarà africano, mentre l’Europa subirà una decrescita demografica di 30 milioni rispetto al 2017. Numeri da capogiro. Sono stime formulate da vari istituti e enti: dalla fondazione Bill Gates all’Unicef. Sono stime, semplici numeri che, tuttavia, dipingono un quadro al quale la politica dovrebbe guardare con attenzione. Una politica con il fiato lungo e non corto come quella che si è impadronita della scena pubblica.
La pressione dell’Africa sul mondo ricco sarà enorme. E quando si evocano emergenze migratorie si dovrebbe guardare a quei numeri, gli attuali sono niente a confronto. Nel 2050 il pianeta sarà abitato da circa 10 miliardi di persone, l’Africa da 2,5 miliardi. I bambini e i giovani sotto i 18 anni nel 2030, nel continente africano, toccheranno i 750 milioni e nel 2050 i bambini raggiungeranno il miliardo. Se guardiamo agli standard minimi internazionali nel settore sanitario e per raggiungere le migliori pratiche in campo scolastico a causa della rapida crescita della popolazione, l’Africa entro il 2030 dovrà avere altri 5,6 milioni di nuovi operatori sanitari e 5,8 milioni di nuovi insegnanti. Il 2050 non è poi così lontano, solo 30 anni.
Se non verranno messe in campo politiche adeguate sia da parte dell’Africa sia da parte del mondo occidentale, l’Africa è destinata a sprofondare, oppure a trasferirsi altrove, ma il mondo è piccolo. Ad oggi non si vedono politiche adeguate che facciano pensare a un mutamento di rotta. Anzi. Prosegue da parte del mondo occidentale l’accaparramento delle risorse africane senza significative ripercussioni sulla popolazione. Crescono i Pil di molti paesi, spesso a due cifre, ma non cresce l’Indice di sviluppo umano (Isu).
L’Isu è calcolato in base a quattro fattori: aspettativa di vita; anni medi di istruzione; anni previsti di istruzioni; reddito nazionale lordo pro capite. La scala dell’indice è calcolata in millesimi (decrescente da 1 a 0). Il valore teorico massimo dell’indice è 1 e ciò significa che si sono raggiunti questi obiettivi: speranza di vita 85 anni, accesso all’istruzione per tutti e livello decente di reddito. Ebbene sono 49 i paesi africani, su 54, con un Isu inferiore alla media mondiale, nessun paese gode di un Isu “molto elevato”. I paesi classificati sono 188 e gli ultimi 19 posti sono occupati da Stati africani. Solo per fare un esempio. La Repubblica democratica del Congo, il Paese più ricco dell’Africa in termini di materie prime, ha un Isu pari a 0,435 con un Pil pro capite di 680 dollari. L’Algeria ha un Isu di 0,745 con oltre 13 mila dollari di Pil pro capite.
Anche la terra, intesa come risorsa per il sostentamento delle popolazioni, è messa a rischio. La sicurezza alimentare non è garantita, anche in prospettiva. La Banca africana di sviluppo stima che le importazioni alimentari, oggi raggiungono i 35 miliardi all’anno, nel 2025 raggiungeranno i 110 miliardi. Così l’Africa non può andare avanti.
I Paesi dove la crescita demografica sarà un vero boom sono anche quegli Stati dove vivrà la più alta percentuale di poveri al mondo, circa il 40%. Si tratta della Nigeria dove la popolazione nel 2050 è stimata in 429 milioni di persone, di cui 152 sotto la soglia di povertà, e la Repubblica democratica del Congo il cui territorio ospiterà circa 171 milioni di persone con i poveri stimati in 70 milioni.
Nel 2017 i giovani tra i 0 e i 24 anni erano circa 628 milioni, entro il 2050 saranno 945 milioni. Giovani senza alcuna prospettiva di futuro, stante ciò che il mondo sviluppato sta facendo per loro, cioè la retorica stucchevole di aiutiamoli a casa loro. Se prendiamo per buoni tutti questi numeri, e non c’è ragione per non farlo, tra 10 o 20 anni la pressione sull’Europa diventerà una vera e propria emergenza, niente a che vedere con la paura e l’insicurezza percepita oggi, con flussi migratori imponenti. E nulla potranno fare le politiche dei porti chiusi o l’innalzamento di muri che verrebbero sbriciolati alla prima spinta. “Questo cambiamento demografico”, come evidenzia un recente rapporto delle Nazioni Unite, “può essere la più grande minaccia o la più grande opportunità per l’Africa e per il mondo, in base a chiare azioni dei leader, o alla mancanza di esse”.
Tutto ciò impone all’Europa, nel suo complesso, di affrontare ciò che non è emergenza con misure di medio e lungo termine perché, altrimenti, l’emergenza arriverà per davvero e sarà travolgente. I numeri chiariscono, più di ogni altro ragionamento, che per l’Africa è necessario un piano di sviluppo globale. Un piano fatto insieme all’Africa che dovrà essere in grado di limitare, sempre di più, la bulimia di denaro e potere della stragrande maggioranza di presidenti e governanti africani, che assomigliano sempre di più a dinosauri ancorati al trono noncuranti del popolo. Se non si ha il coraggio di studiare un piano Marshall per l’Africa, a pagarne le conseguenze saranno milioni di giovani africani che si accalcheranno alle frontiere del mondo ricco per trovare vie di uscita e dignità dove ora non la trovano.