I Paesi africani contraggono debiti con Pechino che poi non riescono a ripagare. Tra Cina e Africa si è instaurata una relazione squilibrata che genera effetti perversi. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca Mondiale si preoccupano del fatto che i prestiti cinesi aumentano il debito africano, che negli ultimi cinque anni è raddoppiato – con il rischio che diventi insostenibile - e che Pechino detiene per il 14%.
Gli effetti sono perversi ed è dimostrato dalla decisone del Fmi di varare un piano di salvataggio del valore di 450 milioni di dollari a favore della Repubblica del Congo. Il programma di credito – come scrive Africarivista.it – mira a sostenere gli sforzi delle autorità congolesi per ripristinare la sostenibilità fiscale e ricostruire le riserve regionali, migliorando al contempo la governance e la protezione dei rischi associati. Un bel piano che va a favore di un dittatore privo di scrupoli, Denis Sassou Nguesso, al potere dal 1979. C’è da chiedersi cosa ha fatto questo signore a favore del paese nei suoi quarant’anni di potere. Dalle condizioni in cui vive la popolazione, poco più di 5 milioni di abitanti su una superficie grande quanto l’Italia, poco e niente. Le persone che vivono sotto la soglia di povertà è di circa il 40% del totale.
Il Congo Brazzaville è uno dei cinque maggiori produttori di petrolio dell’Africa sub sahariana, con circa 350 mila barili giorno, l’80% delle sue esportazioni dipende dal petrolio, e ha riserve stimate in 1,6 miliardi di barili. Un Paese, potremmo dire sufficientemente ricco per soddisfare i bisogni primari della popolazione. Tuttavia, l’intera economia del paese dipende dal greggio, la diversificazione economica è un miraggio, le terre coltivate rappresentano solo il 4% di quelle disponibili e l’agricoltura è di sussistenza.
Il Paese, dunque, si affida alla Cina e adesso anche al Fondo monetario internazionale, come accaduto nel passato. L’Fmi ha chiesto al governo di Brazzaville di garantire la sostenibilità a lungo termine del suo debito come condizione preliminare per l’approvazione di un programma di credito della durata di almeno tre anni, spingendo il Paese a raggiungere preliminarmente un accordo per la ristrutturazione di una parte del suo debito con la Cina. Il punto è sempre quello.
A fine marzo il debito di Brazzaville nei confronti della Cina era pari a circa 2,56 miliardi di dollari. Secondo i termini di accordo di ristrutturazione, come spiega ancora Africarivista.it, il rimborso di una cifra pari a 1,6 miliardi di dollari è stato prolungato di altri quindici anni, mentre circa 530 milioni dovranno essere ripagati entro la fine del 2021. Ecco che si spiega l’intervento del Fmi.
La Cina arriva, ti aiuta ma, poi, chiede il conto. In questa situazione non c’è solo la Repubblica del Congo, ma anche altri paesi africani. Solo qualche esempio. Partiamo dal Kenya. Il porto di Monbasa, tra i più grandi e frequentati dell’Africa Orientale è stata utilizzato come garanzia per il prestito di 3,2 miliardi di dollari per la costruzione della linea ferroviaria di 470 chilometri tra Mombasa e Nairobi. Se il Kenya non salda il debito, la Exim Bank of China ne assumerà il controllo. Non solo, il porto di Lamu, al confine con la Somalia, potrebbe essere ceduto per 99 anni alla Cina se Nairobi non adempierà alle condizioni di rimborso dei prestiti. Non sfugga che queste sono infrastrutture strategiche per il Paese.
Gibuti. Questo fazzoletto di terra nel Corno d’Africa, è la sede della prima base militare permanente all’estero della Cina. Pechino ha investito 15 miliardi di dollari per favorire l’espansione del principale porto e delle infrastrutture collegate. L’82% del debito estero del paese è detenuto dalla Cina e in caso di inadempienza Gibuti potrebbe essere costretta a cedere ai cinesi il controllo del porto strategico, per tutto il Corno d’Africa, di Doraleh.
Zambia. Il debito estero del paese è di circa 9,37 miliardi di dollari, se si aggiungono i debiti delle società statali si arriva a 15 miliardi. Un terzo del totale è dovuto alla Cina. Ormai il debito nei confronti di Pechino sta raggiungendo livelli insostenibili. L’aeroporto di Lusaka presto potrebbe finire nelle mani cinesi, così come l’Azienda elettrica nazionale (Zesco), mentre già il 60% della Zambian National brodcasting Corporation (Znbc) è detenuto da una società cinese.
Di certo il neocolonialismo cinese non può essere confuso con gli aiuti allo sviluppo.