Nei mesi scorsi vi ho raccontato le storie di due ragazzine ivoriane, che vivono a Grand Bassam, l’antica capitale coloniale della Costa d’Avorio, non molto distante da Abidjan. Vi ho raccontato dei loro quartieri, poveri, e fatti di baracche, della loro vita segnata da droga e prostituzione, “sesso di sopravvivenza”, così come lo chiamano loro.
Sesso per poter mangiare, droga per poter sopportare i soprusi di neri e bianchi che approfittano della povertà per soddisfare bisogni “animali”. Vi ho raccontato delle baracche dove vivono e dove continuano a vivere. Mariam e Dona. La prima da poco maggiorenne, Dona ancora minorenne.
Mariam che ha cominciato a 8 anni con quella vita. Per necessità, per poter mangiare, per poter curare la nonna malata che vive con lei e condivide la stessa baracca fatta di una stanza e di un materasso posticcio. Mariam che ha avuto a che fare anche con un signore canadese di 70 anni. Mariam che la mattina era già strafatta di droga, da non stare in piedi e non capire dove si trovasse.
Dona che si alzava al mattino e il primo pensiero era la droga. Di occuparsi delle faccende di casa non se ne parlava nemmeno. Andare a scuola? Piuttosto fermarsi fuori dai cancelli, raccontare che ci andava, a scuola, e poi andare sulla spiaggia a fumare e bere per dimenticare.
Mariam, senza una famiglia. I genitori non li ha conosciuti. Vive con la nonna, l’unico punto di riferimento, la donna, oltre 70 anni - ma nemmeno Mariam sa di preciso quanti anni abbia – malata e un po’ persa nella testa da non sapere esattamente cosa la nipote faccia per sopravvivere, dove trovi i soldi per il cibo e le medicine che le servono. Mariam lasciata sola ad arrangiarsi, a cercare i soldi, a fare debiti che non si estinguono mai.
Dona una madre ce l’ha. Ma è una donna che ride, si preoccupa poco della figlia. Alla mattina si alza e raggiuge la sua bancarella sulla spiaggia dove vende costumi e parei. Ride e ti dice che vuole farti un regalo, la figlia. Strabuzzi gli occhi e non capisci e lei ribadisce: è un regalo, portala con te in Italia. Ma è sua figlia. Anche Dona senza punti di riferimento, tanto meno maschili. Il padre non si sa dove sia.
Ora queste due ragazzine ce la stanno facendo a uscire dal circolo vizioso dove si sono cacciate, malgrado loro. Ce la stanno facendo. Ognuna a sua modo.
Dona a ottobre ha iniziato una scuola professionale. Per ora segue i corsi di alfabetizzazione e il prossimo anno sceglierà se seguire i corsi di cucito o di pasticceria. Intanto il primo semestre si è chiuso con risultati eccellenti. E’ arrivata quindicesima su 60 studentesse. E’ un buon risultato. Di recente l’ho rivista, in occasione delle vacanze pasquali, e mi ha detto che il suo obiettivo è arrivare prima. E io confido che l’obiettivo riuscirà a raggiungerlo. Niente più droga, niente più sesso di sopravvivenza.
Mariam è riuscita a costruirsi il suo atelier di cucito. Tutto suo, di sua proprietà. Un container messo sulla strada, non molto distante dalla sua baracca, con tutto il necessario per sviluppare la sua attività di sarta. E ci riesce molto bene. La nonna ha portato tutte le donne del quartiere a vedere il lavoro finito, dicendo che sua nipote ce l’ha fatta. Mariam mi ha raccontato, qualche giorno fa, che è molto fiera di se stessa, contenta dell’aiuto che le è arrivato dall’Italia. Mi ha incaricato, così come Dona, di tornare in Italia e di ringraziare tutti. E ora lo sto facendo.
Sono piccole cose, forse, non è certo cambiato il mondo, ma sono cambiate due vite, ed è questo quello che conta. Tutto ciò è stato possibile grazie all’impegno di Alessandro Rabbiosi, responsabile di Terre des Hommes in Costa d’Avorio, di Leone de Vita, responsabile del Gruppo Abele della Costa d’Avorio, e grazie anche all’associazione di giornalisti Hic Sunt Leones e del loro progetto #dallapartedinice. Queste persone hanno reso possibile che un sogno di due ragazzine nate ai margini della società, potesse realizzarsi.