Fatou è una ragazza di 20 anni con una vita un po’ travagliata. Una madre presente, il padre non c’è più, mentre il patrigno non le vuole un gran bene. Lei si è sempre arrangiata. Una delle tante ragazze che si vendevano per sopravvivere. La scuola non l’ha conclusa. Poi è rimasta incinta. Vive in uno dei quartieri più poveri di Grand Bassam, l’ex capitale coloniale della Costa d’Avorio, Odos. Lì ti devi arrangiare. Ma adesso la vita è cambiata.
Fatou l’ho incontrata nella cioccolateria della Comunità Abele di Grand Bassam, Choco+, dove lavora. Tutti i giorni arriva, svolge le sue mansioni. Lo sguardo attento, gli occhi sorridenti. Poi nel pomeriggio torna a casa dal suo bambino, si occupa della casa, fa da mangiare, poi a letto. E il giorno dopo ricomincia tutto uguale. Ma per Fatou non è tutto uguale. È consapevole che lavorare a Choco+ non è solo una chance, ma la possibilità di costruirsi un futuro.
“Se non ci fosse stata mia madre io sarei morta”, mi dice Fatou. Sì, il dramma è cominciato proprio quando ha scoperto di essere incinta. Il padre del futuro figlio un poco di buono. “Quando ero incinta – racconta Fatou – eravamo insieme, è venuto quando ho partorito, mi ha promesso di dare dei soldi per il bimbo e anche per pagare il parto cesareo. Promesse al vento. Non ha mai tirato fuori un soldo. Meno male che c’era mia madre”. Per la festa di fine Ramadan il padre le ha dato 10 mila franchi Cfa (circa 7,5 euro), “ma non erano sufficienti, perché il bambino deve avere due o tre vestitini per la festa”. E anche questa volta è intervenuta la mamma che, però, ha posto delle condizioni: “Se stai con lui e poi fai delle stupidaggini noi non ti aiutiamo più”. E così Fatou ha capito che il suo futuro non poteva essere legato a quel ragazzo.
Persa l’opportunità di andare a scuola prima a Grand Bassam e poi ad Abidjan, qui ha iniziato a lavorare in un mercato, ma anche lì non è andata bene. “Sono tornata a Grand Bassam e ho cominciato a fare la domestica da dei libanesi, ma dopo un mese e mezzo di lavoro non mi hanno pagato e così mia madre mi ha detto di mollare”. La svolta, quella vera, arriva dopo l’apertura della cioccolateria della Comunità Abele. Aprire una cioccolateria nel paese che ha il record mondiale di produzione di fave di cacao sembra scontato, normale. E invece non è così. La maggior parte degli ivoriani non conosce il sapore del cioccolato, l’80 per cento del cacao viene, infatti, esportato. Choco+ e una delle poche esperienze di produzione di cioccolato in Costa d’Avorio.
L’intuizione della Comunità Abele di Grand Bassan ha “salvato” la vita di Fatou. Di lei come degli altri giovani, quattro, che lavorano a Choco+. Un progetto artigianale, avviato nel 2018, che oggi riesce a produrre circa 500 chilogrammi di cioccolato al mese, 100 per cento ivoriano. Le fave vengono acquistate da un piccolo produttore locale che ha una piantagione a soli 20 chilometri da Grand Bassam, insomma ciaccolato a chilometro zero. Un’impresa sociale che ha introdotto nella popolazione ivoriana il consumo di cioccolato cominciando, nel piccolo, a introdurre l’idea che il paese può essere, non solo esportatore, ma produttore del prodotto finito.
Uno dei temi che spesso vengono affrontati in Africa, infatti, è proprio quello delle risorse che finiscono per essere trasformate in paesi terzi, facendo perdere quel valore aggiunto che la materia prima può rappresentare per l’Africa stessa. E l’esperienza di Choco+ - resa possibile anche dai partner della Comunità Abele: Ases, Chiesa Valdese, Fondazione Vismara e Associazione Vinovo for Africa - ha proprio questo valore aggiunto al quale si aggiunge l’impatto sociale che può avere sulla popolazione.
Negli ultimi mesi, infatti, si sono moltiplicate le visite guidate per gli alunni delle scuole di Grand Bassam. Un modo per introdurre la cultura del cioccolato. Ma non solo. Le fave di cacao per la produzione di cioccolato vengono acquistate da piccoli produttori della regione, il Sud Comoé. Coltivatori che vengono aiutati a migliorare il prodotto che viene pagato loro 100 franchi Cfa in più rispetto al prezzo minimo fissato dallo Stato che è di 750 franchi Cfa al chilogrammo.
Un’esperienza che sta crescendo e raggiungerà il pareggio di bilancio già alla fine di quest’anno e l’obiettivo, oltre a quello della vendita diretta, è aggredire il mercato della grande distribuzione. “Il laboratorio – mi spiega Leone de Vita, responsabile della comunità Abele in Costa d’Avorio – è diventato una vetrina per tutte le attività sociali ed educative che animiamo nel territorio. Se tutto va bene altre ragazze saranno inserite nell’attività e i guadagni serviranno a finanziare alcune delle nostre attività sociali per i ragazzi a Grand Bassam”.
Fatou, dagli occhi che sorridono, ha trovato a Choco+ l’occasione del suo riscatto umano e sociale. “Il mio sogno è aprire un conto in banca per cominciare a risparmiare. Per questo ho chiesto alla Comunità Abele di non darmi tutto lo stipendio e accantonare la differenza. Chissà, forse un giorno riuscirò a costruire una casa tutta per me”.