Lunedì, ore 8.45: “Avvocato mi scusi, la mia ex moglie vuole che io le riporti i figli, ma non credo che questo sia un buon motivo per uscire e violare le regole sul coronavirus, e oltretutto sono sicuro che lei li porterebbe a casa dalle sue amiche e non mi fido. Che le dico?”.
Sempre lunedì, ore 10.20: “Avvocato mi scusi, il mio ex marito vorrebbe venire dopodomani a prendere i bambini che normalmente al mercoledì sera cenano e dormono da lui. Ma io lo so come è fatto, è un imprudente e non mi fido. Che gli dico?”.
Sono soltanto due tra le numerose telefonate analoghe che io e tanti miei colleghi stiamo ricevendo in questo periodo: se in una coppia di genitori separati o divorziati con figli la tensione è purtroppo spesso alta di su, già in tempi normali, una cosa come la quarantena da Covid-19 può far ridiventare esplosive persino le prassi che prima erano ormai acquisite. E rispondere non è facile se non facendo appello, oltre che al vecchio sacrosanto buonsenso, a un monito che mai come nelle situazioni di emergenza deve a mio avviso comandare su tutto: fidatevi gli uni degli altri, genitori. Ogni volta che potete.
Mi permetto di dire che questo vale ancor di più alla luce del provvedimento con cui la nona sezione civile del Tribunale di Milano ha stabilito l’11 marzo scorso che il diritto dei figli a frequentare entrambi i genitori è comunque più forte dei noti divieti di movimento imposti dal decreto #IoRestoaCasa della presidenza del consiglio: “Nessuna chiusura di ambiti regionali può giustificare violazioni di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti”, scrive il Giudice Gasparini.
Vuol dire che la salute di un bambino o di un genitore è meno importante del calendario che disciplina i loro incontri? Nient’affatto. Vuol dire che il compito della legge è indicare cosa è consentito e cosa no, cosa è obbligatorio e cosa no. Ma a proteggere la salute di un bambino, all’atto pratico, non è la legge: sono e devono essere, in questo caso più che mai, i comportamenti dei genitori.
Vediamo il caso concreto esaminato dal Tribunale milanese. Tra due genitori separati in regime di affido condiviso dei figli e ormai in fase di divorzio era vigente un accordo, raggiunto in udienza, dai contenuti piuttosto consueti: collocamento dei figli presso l’abitazione materna e un dettagliato calendario di tempi e orari per la loro frequentazione del padre. A seguito del successivo trasferimento temporaneo della madre in un altro Comune a causa dell’emergenza sanitaria in corso, tuttavia, il padre aveva presentato una istanza urgente al Tribunale per chiedere il rientro dei figli presso il domicilio di Milano per consentigli di rispettare i suoi tempi di visita e frequentazione. In tempi normali non ci sarebbe stata storia: ma in tempi di coronavirus e di trasferte vietate?
Il Giudice ha risolto la questione con un decreto emesso il giorno stesso della presentazione dell’istanza, senza il bisogno di sentire ulteriormente le parti: l’accordo già raggiunto era già “da ritenersi vincolante - ha scritto - ai fini del regime di collocamento e frequentazione dei minori con il padre”. Dopodiché ha proseguito affermando che le disposizioni previste dal Decreto Conte dell’8 marzo “non siano preclusive dell’attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori laddove consentono gli spostamenti finalizzati a rientri presso la residenza o il domicilio, sicché alcuna chiusura di ambiti regionali può giustificare violazioni, in questo senso, di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti”.
Non solo. Il Giudice aggiunge che una delle risposte alle “domande frequenti” elencate dalla Presidenza del Consiglio due giorni dopo il decreto indica espressamente, al punto 13, che “gli spostamenti per raggiungere i figli minori presso l’altro genitore o presso l’affidatario sono sempre consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio”. Conclusione: il padre deve poter vedere i figli secondo il calendario previsto, coronavirus o no.
Quel che il decreto del Tribunale non dice, e non può dire, riguarda appunto quel passaggio in più che non potrà mai dipendere da nessun Tribunale ma che fa appello alla coscienza di ciascuno. Perché nessuno a parte me può sapere se a fronte di un pericolo come quello del contagio da Covid-19, pericolo attualmente “vigente” a tutti gli effetti, negli ultimi giorni sono stata/stato davvero prudente o se mi sono esposta/esposto a qualche rischio: e in questo secondo caso dovrei essere io per prima/primo in teoria a dire al mio ex coniuge “i bambini è meglio se per le prossime due settimane li tieni tu”, anche se non fosse le legge a impormelo. Così come, all’opposto, ora più che mai sono chiamata/chiamato a fidarmi del mio ex coniuge, genitore quanto me dei nostri figli, nel momento in cui mi dice “questa sera stanno con me, saranno al sicuro”.
Forse uno degli insegnamenti che questa severa esperienza sta imponendo alle nostre vite sarà proprio questo. Ricordarci l’importanza di assumerci la nostra responsabilità al di là degli obblighi, al di là di un giudice con la penna rossa che ci dia degli ordini: ci sono scelte che funzionano soltanto se siamo noi a farle. Non è una strada facile, specie se quelle scelte devi condividerle con la persona da cui hai divorziato. Ma nessuno ha mai detto che la strada giusta sia facile. E a volte, quando sul serio c’è di mezzo la salute, è davvero l’unica.