Una ‘coppia di fatto’ concepisce una bimba. Durante la maternità succede un quarantotto. I due si lasciano e la ragazza torna a vivere dai propri genitori. Angelica – la chiameremo così - viene riconosciuta solo dalla mamma, della quale assume il cognome (Rossa).
Ma un bel giorno anche il papà decide di riconoscere la bimba e chiede al Tribunale di Tivoli di anteporre il cognome paterno (Giallo) a quello materno. Il Tribunale ritiene che il padre abbia ragione e accoglie la sua istanza.
La madre ne fa una questione di princìpio e impugna la sentenza, ma la Corte d’Appello di Roma non solo conferma la decisione sul cognome: affida anche la bimba a entrambi i genitori. La madre non si rassegna e prosegue la battaglia legale.
La Cassazione accoglie le ragioni del padre: la bambina, d’ora in poi, si chiamerà Angelica Giallo-Rossa (vince la ‘squadra del cuore’, insomma).
La Suprema Corte ritiene che la circostanza che la bimba sia stata riconosciuta prima dalla madre e solo in un secondo momento dal padre non abbia alcuna importanza ai fini della decisione. L’unico criterio al quale il Giudice deve ispirarsi per decidere quale cognome attribuire alla bambina è quello che consente al minore di essere percepito, non solo da se stesso ma anche dall’esterno, come figlio di entrambi i genitori (Cass., I Sez civ, ordinanza 28.1-5.7.2019 n. 18161).
Orbene, ogni madre, di primo acchito, sarebbe tentata di dire che la decisione è ingiusta. Perché mai la bimba dovrebbe portare anche il cognome del padre – anteposto a quello materno, per di più - se l’uomo col quale la donna non ha più alcuna relazione amorosa non ha nemmeno riconosciuto la piccola al momento della nascita?
Perché il diritto vola più alto.
In un caso come questo - in cui un bambino è nato fuori dal matrimonio – i criteri da seguire sono quelli previsti dall’art. 262, II comma, del codice civile: “Il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre”. Dunque, per legge il Giudice ha il potere/dovere di aggiungere o anteporre o sostituire il cognome del padre a quello della madre. Valutazione ampiamente discrezionale, non di poco conto.
La Cassazione ha ora chiarito che il Giudice, nel decidere per quale delle tre soluzioni optare, dovrà sempre far prevalere il valore della bigenitorialità e l’interesse del minore, anche in relazione all’ambiente in cui il minore è cresciuto fino al momento del riconoscimento del padre.
Nel caso in esame, tutti i Giudici hanno concordato nel dire che l’interesse di Angelica fosse quello di vedersi anteposto il cognome del papà a quello della mamma. Quasi certamente suo padre, dopo i primi timori, avrà capito che un figlio è il dono più prezioso che si possa ricevere. Ed è stato premiato.