Fu subito amore. Il concepimento di un figlio dopo pochi mesi, la decisione di convolare a nozze quando ancora la maternità non era evidente, la nascita di un bimbo che aveva fugato ogni altro pensiero. Tutti tranne uno: la piovra, come la chiamava lui.
Lei lo aveva capito solo a cose fatte.
La vita matrimoniale si rivelò sin da subito un inferno. Un uomo, una donna, un neonato e LEI, la vodka.
La moglie decise di porre fine al matrimonio nel giro di un anno. Una separazione all’insegna della ragionevolezza, nel supremo interesse del figlio: affido condiviso del bimbo a entrambi i genitori, diritto del padre di stare col figlio un giorno a settimana e a fine settimana alternati, metà vacanze con un genitore metà con l’altro, un assegno di mantenimento per il bambino a carico del padre.
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Ma la piovra era sempre lì, suadente come le sirene con Ulisse. Del figlio lui non riusciva proprio a occuparsi. Spesso non si ricordava nemmeno che esistesse.
La donna fu quindi costretta a farsi in quattro. Non poteva permettersi di fare solo la mamma perché l’uomo aveva smesso di pagare l’assegno per il figlio. I nonni paterni erano sì intervenuti economicamente, ma le discussioni per ottenere i denari per i bisogni del bimbo erano all’ordine del giorno.
La donna dovette rinunciare al lavoro per il quale aveva tanto studiato, perché l’avrebbe portata a viaggiare frequentemente. Decise così di aprire un piccolo negozio che le garantì stabilità e qualche incasso.
“Parto per Formentera in cerca di fortuna” disse un giorno l’uomo. La donna, nel tentativo di mantenere uno straccio di rapporto tra padre e figlio, lo raggiunse col bimbo tre volte e a proprie spese, naturalmente.
Quando la bolla di sapone dell’isola scoppiò, l’uomo tornò in Italia e la donna lo convinse a entrare in comunità. Tre anni importanti, che lo aiutarono a liberarsi dai tentacoli dell’alcool.
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Negli otto anni dopo la separazione la donna ha fatto i salti mortali per provvedere ai bisogni del figlio. Un incubo ogni volta che la scuola, un corso extrascolastico o la pubblica amministrazione chiedeva la firma o l’autorizzazione dell’uomo. Un uomo che, pur liberatosi dalla piovra, vedeva il figlio 5-6 volte all’anno, quando andava bene.
“Ho deciso di andar via da Milano alla volta del Lazio. Compro un camper. Voglio essere libero, come un nomade nella natura”.
La donna decise che era ora di divorziare e di dare una svolta a quel rapporto che le aveva causato solo dolore e rabbia. Si rivolse a un avvocato che capì che questo era un caso in cui l’affidamento condiviso non avrebbe mai avuto alcuna chance di decollare. Le propose quindi un affidamento ‘super esclusivo’, che pur lasciando inalterata la responsabilità genitoriale in capo a entrambi i genitori, avrebbe consentito alla madre di assumere in autonomia tutte le decisioni di maggiore importanza per il figlio.
L’avvocato convocò l’uomo per parlarne. Lui la guardò sorridendo: “Il mio unico cruccio è che la signora non mi chieda gli arretrati non corrisposti in questi anni”. Il legale lo confortò dicendogli che la signora aveva deciso di non chiedere un euro per il passato. Solo un assegno per il futuro del bambino.
“Allora firmo tutto”, le disse. Ma l’avvocato lo fermò. Ci teneva a concordare con lui un calendario di frequentazione con figlio che consentisse ai due di mantenere un rapporto degno di tale nome. Gli propose quindi due/tre settimane filate col figlio nel periodo estivo, immaginando di fargli cosa gradita.
Altro sorriso. “Avvocato – disse l’uomo – non sono mica la madre. Di tenere mio figlio in estate non se ne parla nemmeno. Forse tornerò a Milano a Natale e vedrò mio figlio giusto qualche giorno. Perché sa, io dopo due giorni insieme a lui non so proprio più cosa fare. E poi, devo vivere anche io”.
“Capisco” replicò l’avvocato amaramente.
L’accordo consensuale venne così sottoscritto alle nuove condizioni e due divorziarono. Lui, finalmente libero dalla piovra e con lo sguardo di chi ha ritrovato se stesso. Per il figlio...”pazienza, crescerà ugualmente”. Lei, finalmente libera da quell’uomo e da quella bigenitorialità rimasta per anni solo sulla carta.
L’avvocato ripose il fascicolo nella valigetta e tornò in studio lentamente, convinto che non esistesse una ricetta valida per ogni caso. Per fortuna.