Lunedì 8 aprile, ore 6. Una doccia veloce, un paio di jeans e la felpa de La Nave addosso. Il tempo di fare colazione non c’è. Il blindato che li dovrà portare alla Scala già li aspetta. Autorizzati a uscire solo 13 detenuti. Agli altri non rimarrà che intonarla nostalgicamente, dalla cella.
Il blindato arriva alla Scala. I marinai sono scortati da molti agenti, tutti in borghese. Devono fare un percorso obbligato per raggiungere la comparserìa, una stanza piena di specchi che riflettono solitamente i volti perfettamente truccati degli artisti.
Veniamo tutti chiamati sul palco per la ‘prova di assestamento’. La sensazione che proviamo subito è quella di un teatro che ti abbraccia. Una Madre dolce e accogliente avvolta in un manto scarlatto e dorato.
Non dimenticherò mai i volti di quei marinai. Come quando gli astronauti videro per la prima volta dalla Luna lo splendore della Terra nell’universo. “Posso guardare il mondo da un’altra parte perché oggi ho una possibilità”, mi dice uno di loro.
Ore 10.30, lo spettacolo inizia. Si celebra il pensionamento di un uomo, Giuseppe Guzzetti, che ha sempre posto al centro la dignità dell’essere umano, in particolare dei più fragili.
L’attesa del nostro turno è un coacervo di emozioni. Due parenti per ciascuno. Alcuni hanno voluto la compagna e un figlio, altri i genitori. Scegliere non è mai facile.
Dall’amplificatore all’improvviso una voce: “Gli artisti del Coro della Nave si preparino”. Un marinaio esclama stupefatto “Ci hanno chiamati artisti!”. Ci incamminiamo tutti verso il palco, in fila, riuscendo a scambiare a mala pena qualche parola. Quei nove minuti di attesa diventano una vita. Alessandro mi dice “Ci sono mia figlia più grande e mia moglie là fuori. I piccoli li ha dovuti lasciare a casa” e gli si illuminano gli occhi di una malinconica e consapevole gioia.
Poi si entra in scena, lentamente, su due file. I marinai e i volontari da una parte del palco, i coristi della Scala che hanno sposato il progetto a titolo di volontariato dall’altra, tutti con la stessa divisa, quella degli ultimi. Anche il direttore del Coro scaligero si unisce in un ideale abbraccio d’amore. Nessuno strumento, solo voci.
Fra il pubblico, due uomini illuminati: Luigi Pagano, che per primo ebbe l’intuizione di un carcere diverso, e Giacinto Siciliano, direttore di San Vittore che prosegue la contaminazione tra il dentro e il fuori. Tra i coristi, Graziella Bertelli, la psicologa che dirige il reparto de La Nave, e una parte della sua equipè.
Prima di iniziare riecheggiano nella mente le parole del Maestro del Coro, Paolo Foschini, che per tutti è semplicemente Paolo: “Intanto che cantate pensate solo alla nostalgia di casa vostra. Funzionerà”.
Ed ecco che il miracolo si compie.
“Vaaa pensieeeerooo sull’aliii doraaaatee….”. L’aria del Nabucco di Giuseppe Verdi, che narra la storia del popolo di Israele prigioniero,viene ora intonata da chi la prigionia ce l’ha marchiata sulla pelle.
Uno scroscio di applausi emozionati. Qualche marinaio non resiste alla tentazione di salutare con la mano i propri cari che cerca tra i fazzoletti agitati dal loggione.
Oggi la fierezza si legge finalmente su tutti i loro volti.